
In un mondo in cui vogliamo sapere tutto di tutti, vale la pena ricordare che la curiosità può costare cara. Spiare il cellulare del partner, oltre a mettere a repentaglio la relazione, rischia di trasformarsi in una vera e propria stangata. Sì, perché WhatsApp non è una semplice applicazione di messaggistica, ma un "sistema informatico" protetto da password. E dunque effettuare l'accesso sul dispositivo di un'altra persona senza il suo permesso equivale a commettere un reato. Insomma, per evitare di restare lontani dalle aule di tribunale conviene rispettare la privacy dell'altra dolce metà. O si va incontro a un'accusa che prevede fino a 10 anni di reclusione.
A parlare del pugno duro è Il Messaggero, secondo cui la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un uomo che lo scorso dicembre era stato condannato dalla Corte d’appello di Messina. Il motivo? Si era intrufolato nel cellulare dell'ex moglie e aveva estratto alcuni messaggi nell'intento di utilizzarli come prova a suo favore nella causa di separazione. L'uomo si sarebbe concentrato su due telefonini della donna e avrebbe estratto le chat di WhatsApp e l'elenco delle chiamate effettuate e ricevute. "Violare lo spazio comunicativo privato di una persona, abbinato ad un telefono cellulare nella sua esclusiva disponibilità e protetto da password, integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico", si legge.
La storia turbolenta tra i due parte da lontano. A marzo 2022 la signora aveva denunciato atteggiamenti molesti e ossessivi da parte del marito. E tra questi rientrava proprio il controllo del suo cellulare, da cui avrebbe estrapolato alcuni messaggi da una chat con un collega di lavoro e li avrebbe inviati ai suoi genitori "per sostenere la tesi di un rapporto sentimentale fra i due". Un anno più tardi è arrivata un'integrazione di querela, dopo aver scoperto una magagna sul cellulare che utilizzava per ragioni di lavoro e che non riusciva più a trovare: il suo ex avrebbe estratto diversi screenshot dal registro chiamate e dalla messaggistica e li avrebbe consegnati al suo legale, "il quale li aveva prodotti in sede di giudizio civile, ai fini di addebito della separazione". E ha denunciato anche screen estratti da un altro dispositivo protetto da password.
L'accusa sulle spalle dell'uomo è pesante: aver "arbitrariamente invaso la sfera di riservatezza della moglie attraverso l’intrusione in un sistema applicativo". Insomma, per l'accesso esterno su un telefonino serve il consenso del proprietario. Ma va ricordato che il via libera non corrisponde a un accesso senza paletti: costituisce reato anche violare "le condizioni e i limiti" che il proprietario detta. Quindi sarà penalmente perseguibile sia chi continua a mantenere l'accesso oltre il tempo limitato, sia chi approfitta dell'ok ricevuto per ficcare il naso e curiosare nelle chat per cui non aveva incassato l'autorizzazione.
Sono due gli elementi che emergono dalla vicenda.
Il primo è che l'app WhatsApp è da considerarsi un "sistema informatico", poiché combina hardware, software e reti per la comunicazione tra utenti attraverso messaggi, chiamate e videochiamate. Il secondo è che i telefonini della donna erano protetti da una password. Meglio lasciar perdere il detective fai da te: oltre alla fiducia, si rischia anche la fedina penale.