
C'è una «scuola milanese» nell'arte contemporanea italiana, così come c'è una «scuola di Venezia»? Della seconda si è parlato a più riprese anche qui e se ne parla sempre più spesso nelle riviste attente al contemporaneo. Per scuola di Venezia s'intende quella dell'Accademia di Belle Arti del capoluogo lagunare, o, più in particolare, quella dell'Atelier F, laboratorio frequentato da chi fa pittura, dove gli studenti sono guidati da quel docente-maestro con contorni di leggenda che è Carlo Di Raco. All'Atelier F e a cinque dei suoi artisti più importanti Thomas Braida, Chiara Calore, Neboja Despotovi, Eric Pasino, Paolo Pretolani è dedicata una bella collettiva alla Fondazione Coppola di Vicenza, intitolata esattamente La Scuola di Venezia (fino al 20 ottobre). E quanto a Milano, esiste una «scuola di Brera»? E si può vedere da qualche parte?
Ebbene no, la scuola di Brera non esiste, nonostante anche l'accademia milanese possa contare su docenti/artisti carismatici come Massimo Kaufmann, Giovanni Frangi, Marco Cingolani. Ma di una «scena milanese» si può invece parlare. Milano è la città dove il mercato dell'arte è più attivo, dove fondazioni, gallerie, musei e case d'asta sono numerosissime e di alta qualità, è la città del Miart e della Milano Art Week, ed è la metropoli dove ogni anno traslocano decine di artisti diplomati in altre accademie italiane, sistemandosi in atelier condivisi. Qui, la pratica degli open studio giorni di apertura dedicati ai visitatori insieme all'infinita serie di mostre che s'inaugurano in città, e assieme agli eventi semiprivati che nascono nelle abitazioni degli artisti e dei collezionisti, o in spazi temporanei a volte avventurosi e a volte chic, costituiscono un giro strutturato che finisce per diventare appunto quello, una «scena», dove tutti si conoscono e la crescita artistica viene anche dal condividere, osservare, assimilare quel che fanno gli altri.
È di questa scena che la collettiva L'intimo segreto del mondo là fuori fa un'interessante panoramica, esponendo ben 37 artisti, quasi tutti giovani emergenti. Aperta fino al 19 giugno la mostra si tiene negli spazi dell'Ex Cartiera Pigna ad Alzano Lombardo. La sistemazione territoriale decentrata è legata al curatore, Alberto Ceresoli, che con Bergamo e comuni del circondario ha intessuto da anni una fitta rete di collaborazioni e progetti espositivi, a partire dalla galleria temporanea Superstudiolo, che tra il 2020 e il 2021 ospitò alcuni dei nomi che, allora agli esordi, oggi sono sotto i riflettori dei collezionisti. Nelle intenzioni di Ceresoli, L'intimo segreto del mondo là fuori è una ricognizione su quel tessuto, su quella generazione. Il focus territoriale sull'area milanese non sarebbe dunque lo scopo primario della collettiva, ma de facto è esattamente così, se guardiamo a dove ha base la gran parte degli artisti esposti. Curiosamente, questa scena va in mostra in piccolo formato. È una scelta curatoriale, dettata dall'idea di creare un rapporto intimo spettatore-opere, in un percorso di esplorazione e di scoperta negli spazi immensi, post-industriali, delle ex-cartiere. E funziona. Ma forse è stata anche una scelta pratica, mi viene da aggiungere maliziosamente, per evitare i costi esorbitanti del trasporto specializzato che richiederebbero opere di grande formato. Tutta la mostra risente infatti di un'attitudine low budget che fa molto underground: l'ingresso è gratuito ma non ci sono i bagni, per dire. Non ci sono i classici striscioni o totem che da lontano richiamano verso il luogo dell'esposizione, difficile da individuare all'interno del labirinto dell'ex-cartiera. E non c'è nemmeno un pieghevole, tantomeno un catalogo. Benissimo aver messo in piedi tutto questo, perché il lavoro di ricerca curatoriale alle spalle è stato enorme e meritevole di plauso, ma una critica la si può muovere: meglio meno underground e qualche sponsor in più, così da esporre la scena milanese in modo forse più convenzionale ma anche più valorizzante.
Tra chi si occupa di scrittura si usa dire che mentre un romanzo può permettersi sbavature e alti e bassi, un racconto dev'essere invece un meccanismo perfetto. Nella pittura vale lo stesso: i dipinti di grande formato le opere di due metri e passa di lato, sempre più in voga nell'arte contemporanea ti travolgono con la loro maestosità e non si sta a guardare la singola pennellata, mentre con il piccolo formato o dipingi qualcosa di impeccabile o ti ritrovi con un'opera minore che sa di bozzetto o di contentino per collezionisti meno abbienti. Tra le piccole opere esposte ad Alzano vi sono molti dipinti-perfetti, come quelli di Domenico Ruccia, Marco Rossi, Anita Dal Sasso, Agnese Guido, Silvia Paci, mentre altri artisti hanno inviato opere meno riuscite rispetto alla loro produzione in grande formato. Peccato. Ma al di là della qualità più o meno alta, c'è un tratto comune, uno stile riconoscibile? Di nuovo no, e proprio perché a Bergamo non è in mostra una scuola ma una scena. Di comune c'è però almeno una certa tendenza all'astrattismo, spesso trasportato anche dentro le opere figurative, che diventano confuse e sfocate. Sarà la proverbiale voglia di modernità milanese, che tiene lontano da una pittura che sappia anche solo vagamente di tradizionale. Come accade invece per molti artisti della Scuola di Venezia. Dev'essere il genius loci di quella città piena di passato e di bellezza classica, ma in certi quadri, come quelli di Calore, Braida, Pretolani, ci sono una brillantezza e una precisione quasi fiamminghe.
Nella mostra alla Fondazione Coppola, anche la struttura sta all'opposto dell'undergound post-industriale delle ex-cartiere Pigna: è lo spettacolare Torrione Maltraversi, restaurato e trasformato in elegante spazio museale nel 2018. Ah, si paga per entrare. Poco, 5 euro. Ma anche questo fa la differenza, quanto a valorizzazione.