Scrolliamo tutto, tranne noi stessi

Down-scrolling: lo scroll continuo durante la giornata, spesso automatico e inconscio, che riempie ogni momento di noia o attesa, svuotando però l’attenzione e la presenza mentale.

Scrolliamo tutto, tranne noi stessi
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È molto fastidioso, vi sarà capitato. Cioè, mentre tu fai downscrolling, quasi non te ne accorgi (è fastidioso per l’altro se pensa di fare conversazione con voi). Scorri (Instagram, Tik Tok, Facebook, Youtube, poco cambia), vedi un video, un altro, un altro ancora, senza che ti resti niente, eppure non riesci a smettere.

Vedere qualcun altro che lo fa davanti a te, mentre tu non stai scrollando, è anche peggio. Quando ti dicono “guarda qui, guarda questo”, e ti porgono lo schermo come fosse un dono, allora capisci quanto siamo diventati ridicoli. Senza contare quando trovano un video che suscita in loro una minima curiosità e devono condividerlo con te, come se tu non avessi abbastanza idiozie da scrollare per conto tuo. Così hai i DM pieni di gente che ti manda il reel che li ha “colpiti”, e gli devi pure rispondere, perché prima o poi ti chiederanno “non l’hai visto il video?”. Alla fine non scrolli solo i tuoi, scrolli anche quelli degli altri, in una specie di scrollamento collettivo di palle.

Il doom-scrolling è stato rilevato di recente, è quello del “ancora un video e poi dormo” e si è evoluto nello sleep-scrolling, la fase terminale: scorrere lo schermo mentre già si sta crollando, o peggio, riaprire gli occhi nel buio per vedere se c’è qualcosa di nuovo. Non è una metafora, è un comportamento clinicamente osservato: uno studio pubblicato su Frontiers in Psychiatry (Università di Bergen, marzo 2025, 45 mila studenti analizzati) ha mostrato che ogni ora di schermo a letto riduce il sonno di 24 minuti e aumenta del 59 per cento il rischio d’insonnia cronica. È solo uno studio, non ancora confermato da altri, però interessante e coerente con quelli della Sleep Foundation e del King’s College London, che già nel 2023 avevano documentato un incremento del 31 per cento nei disturbi del sonno legati all’uso di smartphone dopo le 23.

Nel frattempo, il giorno è diventato una lunga appendice della notte. Secondo il Global Digital Report 2025 di DataReportal, trascorriamo in media 6 ore e 37 minuti online ogni giorno, di cui 2 ore e 35 solo sui social. Gli utenti tra i 18 e i 34 anni superano le 3 ore. Un tempo dedicato non tanto a informarsi o comunicare, invece a scorrere senza meta, in un loop infinito che la American Psychological Association definisce “tecnologia compulsiva passiva”: un gesto automatico, come grattarsi o fumare, con un impatto più profondo sul sistema dopaminergico.

Tra l’altro ho visto un video su YouTube in cui danno un cellulare a uno scimpanzé, e anche lo scimpanzé, come nostro cugino più vicino, scrolla. Scorre il feed, si ferma, guarda, osserva ricomincia, torna indietro. La parte interessante è che si ferma solo quando vede altri scimpanzé o cose che lo interessano davvero. Noi no. Noi guardiamo tutto, anche ciò che non ci interessa minimamente. Lo scimpanzé scrolla per curiosità, l’uomo per noia. È la differenza tra un istinto e una dipendenza.

Si chiama doom-scrolling perché anche quando lo fai “per distrarti”, finisci per sentirti peggio. Lo conferma il Pew Research Center (2025): il 73% degli utenti che leggono notizie attraverso feed algoritmici dichiara di provare “ansia, irritazione o senso di impotenza” dopo pochi minuti di utilizzo. Lo sleep-scrolling peggiora le cose: il National Institutes of Health ha osservato che la luce blu e la stimolazione cognitiva ritardano la secrezione di melatonina fino a 90 minuti, alterando il ritmo circadiano anche in chi dorme “abbastanza ore”.

Che fa il paio con il down-scrolling, la versione diurna della stessa ossessione, quando scrolliamo in coda, in bagno, a tavola, in ascensore, perfino davanti alla televisione o con un libro in mano che non leggeremo. Ofcom, l’authority britannica delle comunicazioni, ha stimato che controlliamo lo smartphone in media 214 volte al giorno, praticamente una ogni 7 minuti di veglia. Non per fare qualcosa, per assicurarsi che qualcosa ci sia. È la nuova forma del vuoto: aggiornarsi per non sentirsi esclusi, anche se l’unica esclusione è da se stessi. In sinstesi il doom-scrolling ti deprime, lo sleep-scrolling ti addormenta, il down-scrolling ti cancella, perché mentre tutto scorre, tu no.

Alla fine ci addormentiamo con il pollice ancora sullo schermo, lo stesso pollice opponibile che ci ha permesso di afferrare le cose, di manipolarle, di costruire utensili, ruote, archi, telescopi, navi, computer, microscopi, città, civiltà intere.

Il pollice con cui abbiamo suonato strumenti, inciso pietre, scritto libri, accarezzato, curato, ucciso, inventato, esplorato il cielo e costruito satelliti per guardarci dallo spazio. Dopo milioni di anni di evoluzione, lo usiamo per scrollare puttanate.

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