ROMA - C'è una pagina della storia italiana rispetto alla quale il mondo accademico e quello  della pubblicistica spesso hanno voltato la testa. Una giustificazione è rappresentata alla  ferita inferta all'orgoglio nazionale. Un'altra spiegazione è legata alla volontà di non  «polemizzare» con un Paese che, per un motivo e per l'altro, è stato sempre vicino all'Italia.
 Ecco perché l'opera del giovane storico romano Matteo De Santis «Ombre nel ghiaccio - Storia e  memorie della campagna italiana di Russia 1941-1943» (Edizioni Chillemi, 353 pp., 24 euro)  acquista una rilevanza non trascurabile. In primo luogo, perché rimuovo un ostacolo alla memoria  affrontando un argomento rimosso. In secondo luogo, perché la materia è affrontata  «storicamente», cioè senza paradigmi e tesi da confermare, ma semplicemente narrando  documentalmente.
 La prima sezione «I fatti» è di notevole valore intrinseco giacché analizza, viviseziona e  sintetizza i movimenti, le operazioni, le vittorie e la tragicità del fronte russo per il Corpo  di spedizione prima e per l'Armir poi. Si tratta di uno spaccato di teoria e prassi militare non  indifferente che contribuisce a far luce su un momento storico spesso sbrigativamente liquidato  come mero appoggio militare alla Wehrmacht. La realtà storica non era quella anche se  corrisponde purtroppo alla realtà l'inadeguatezza degli armamenti e degli equipaggiamenti del  contingente. Si segue tutta la campagna dai successi del Donetsk fino all'arresto sul Don e alla  tremenda ritirata dopo Stalingrado. Un'epopea che costò la vita di 94mila persone.
 La seconda parte, frutto della ricerca sulle memorie scritte dei reduci, entra nel quotidiano  del soldato al fronte, in una ricostruzione, frutto delle testimonianze dei sopravvissuti,  realizzata grazie all'analisi di circa cinquanta testi pubblicati dal 1943 al 2001. Non solo i  «classici» di Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern, ma anche le opere «minori» di coloro che erano  riusciti a tornare in patria. La sezione ripercorre le tappe dell'esperienza di un soldato: la  partenza dall'Italia, il viaggio in treno, il primo approccio con una realtà diversa, il  rapporto con i civili russi e con gli alleati tedeschi, le principali battaglie, la tragica  ritirata e, infine, la prigionia. Degradando dall'ottimismo della partenza del Csir che  confidava di aiutare l'alleato nazista a infliggere il colpo finale al nemico comunista fino  all'orrore della fine e passando per le brutalità del conflitto: le privazioni, le violenze  tedesche nei confronti dei civili e degli ebrei e la sostanziale «diversità» dell'Esercito  italiano che non mancò di sostenere, anche umanitariamente, le popolazioni russe e ucraine.
 Il terzo e ultimo capitolo è dedicato alle interviste a dieci reduci. Una parte che esplora i  drammi del combattente: costretto a mangiare le carcasse dei muli da trasporto, altrettanti  reduci e conduce il lettore nelle vite di quei soldati, a combattere oltre che col freddo anche  coi pidocchi, a scegliere tra la propria vita, quella del nemico e dell'alleato con esiti tanto  imprevedibili quanto drammatici.
 La preoccupazione di De Santis è tutta «storiografica»: descrivere ciò che è accaduto nelle  trincee e nei bunker e non negli alti comandi. Alla meticolosa consultazione dei documenti  dell'Ufficio storico dello Stato maggiore si è perciò aggiunta la ricerca di altre fonti  bibliografiche oltre all'intervista che è l'origine stessa della cronaca. Non indulgere nelle  apologie e non ricadere nelle verità preconfezionate. L'obiettivo che l'autore si era prefisso  si può dire compiutamente raggiunto.
Le ombre russe dimenticate nel ghiaccio
Il giovane storico romano Matteo De Santis racconta la campagna di Russia con documenti, ricerche bibliografiche e testimonianze dirette.
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