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"Carne sintetica? Mai nella mia cucina". Parla lo chef stellato dal cuore generoso

Rifugge l'autocelebrazione e lascia che a parlare siano i suoi piatti. Antonio Guida è lo chef pluristellato che non ti aspetti: talento, estro e grande cuore. A Milano il suo impegno tra alta cucina e solidarietà

"Carne sintetica? Mai nella mia cucina". Parla lo chef stellato dal cuore generoso

Due stelle Michelin. E un grande cuore. Antonio Guida è lo chef che non ti aspetti: i suoi modi cortesi e la passione con cui racconta il proprio lavoro dicono molto di lui. Del suo approccio a un mestiere che è innanzitutto una passione. Classe 1972, pugliese del Salento, il cuoco di Tricase passato dalle più grandi cucine del mondo - e ora stabile al ristorante "Seta" del Mandarin Oriental a Milano – è di quelli che preferiscono lasciar parlare i loro piatti, rifuggendo l’autocelebrazione. Quando poi si tratta di stupire i commensali per una buona causa, Guida c’è. Sempre. Lunedì 15 maggio, nello specifico, l'apprezzato chef sarà protagonista a Milano di una serata speciale dedicata alla promozione e alla raccolta fondi in favore della Fondazione Mantovani Castorina, impegnata nella realizzazione di progetti rivolti a persone con disabilità gravi o gravissimi e alle loro famiglie. Ai fornelli, accanto a lui, ci saranno anche i colleghi stellati Cristina Bowerman e Viviana Varese.

Unirete la buona cucina allo scopo benefico: bella combinazione…

"L'obiettivo è proprio quello. Quando qualcuno ha la fortuna di stare bene e di avere un buon lavoro, credo che debba restituire qualcosa agli altri, a chi è stato meno fortunato. In questo caso stiamo parlando di disabilità cognitive e motorie molto gravi. Ho già avuto modo di conoscere la Fondazione Mantovani Castorina e sono veramente bravi. Fanno diverse attività, aiutano non solo le persone con disabilità ma anche le loro famiglie. E lo fanno in toto, pensando anche al dopo di noi. Sono persone con una sensibilità che va oltre. Prenderci cura degli altri è qualcosa che può davvero renderci felici".

Cucinare per una buona causa la emoziona?

"Molto. La consapevolezza di lavorare per uno scopo benefico rende tutto più bello e più magico. Saremo tutti pieni di quella bella energia data dal fare qualcosa di speciale".

L'argomento le sta a cuore, lo si percepisce.

"Sì, una volta al mese organizziamo anche dei pranzi a supporto di un'altra associazione che si occupa di disabilità. Mia moglie, che già frequentava queste realtà, spesso tornava a casa un po' malinconica perché veniva a conoscenza di situazioni complicate, magari anche gravate da ulteriori problemi famigliari. E allora mi sono chiesto cosa potessi fare in prima persona. Così ho deciso di aprire le porte e la cucina di casa mia proprio con l’obiettivo di offrire un contributo solidale".

Qualcuno dirà che lei è un'eccezione. Gli chef stellati, infatti, vengono spesso descritti come un po' distaccati…

"Assicuro che non è così. Ci sono un sacco di colleghi molto sensibili e in tanti hanno voluto partecipare quando si trattava di fare del bene. Accadrà anche ora con la Fondazione Mantovani Castorina. Di recente ho preparato un pranzo solidale con Antonino Cannavacciuolo e altri amici colleghi. Tanti ci stanno aiutando in questa avventura".

Vivere e lavorare a Milano l'ha aiutata a promuovere questi progetti meritori?

"Assolutamente. Milano è una città meravigliosa, con persone di grande generosità che quasi sempre hanno donato molto più di quanto era richiesto. C'è tanto cuore. E io stesso percepisco molto supporto. Spesso ad aiutarmi in queste occasioni di solidarietà ci sono anche i miei collaboratori del Seta".

Nella sua carriera ha lavorato a Parigi, a Zurigo e in Asia. Ora a Milano. Le sue origini salentine le ha perse per strada o ancora riesce a conservarle?

"Nel menù ho un piatto a base di cime di rapa, prodotto salentino per eccellenza. Lo serviamo con una tartare di calamari, una salsa alla maitre d'hotel e un po’ di acciughe. Racchiude molto i sapori della mia terra, alla quale tengo moltissimo".

La tavola è davvero il luogo in cui ci si racconta…

"Sì, accomodarsi a tavola significa farsi trasportare. Tanti ospiti hanno aspettative importanti ed è bello vedere il loro entusiasmo, la loro voglia di scoprire come sia stato pensato e realizzato quel piatto. Molti vogliono capire il perché di certi abbinamenti, ma spesso sono solo mie intuizioni. Io cerco comunque di spiegalo, mi appassiona farlo".

Al Seta ha da poco inaugurato un nuovo menù: un assaggio?

"Abbiamo preparato un menù a base di solo pesce azzurro, quindi con molta attenzione alla sostenibilità e ai prodotti salutari. Per noi è anche una sfida: quella di utilizzare pesci 'poveri' ma con accostamenti importanti e con sapori resi più rotondi rispetto a quel che uno potrebbe aspettarsi. Ad esempio, proponiamo una palamita all'alga nori con garusoli e rognone di vitello. Un accostamento che può sembrare folle, invece l'ospite ritrova un piatto rotondo, delicato, equilibrato. In un altro piatto abbiniamo acciuga, ostrica e peperoni: non è semplice prepararlo, ma il risultato è sbalorditivo. Al palato senti freschezza, profondità, acidità".

La carne sintetica, invece, arriverà mai nella sua cucina?

"Per ora non l'ho per nulla presa in considerazione. Finché non avrò la certezza che non faccia male, non la utilizzerò mai. Noi chef abbiamo una grande responsabilità; il nostro obiettivo è di regalare emozioni, ma bisogna farlo con attenzione. A me piace l'idea di mettere in tavola grandi prodotti, con la sicurezza che siano di alta qualità. Un alimento prodotto in batteria non entrerà mai nella mia cucina, perché è lontano dalla mia cultura e secondo me non fa bene. E anche ai miei amici consiglio di mangiare magari qualcosa in meno, ma di qualità".

Poi però c'è anche il tocco dello chef…

"Avere dei buoni ingredienti è già importante di per sé. Noi dobbiamo esaltare e giocare con gli accostamenti.

È divertente, ed è proprio quella la bravura del cuoco".

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