 
Invito al viaggio (La nave di Teseo, pagg. 192, euro 19) è un itinerario letterario attraverso alcune tra le città più belle d'Italia: 12 racconti compongono un ritratto del nostro Paese, riflesso nello sguardo di grandi narratori. In questa pagina anticipiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto del racconto che lo scrittore algerino Kamel Daoud, vincitore del premio Goncourt con Urì (La nave di Teseo), fa di Palermo. Gli altri autori sono: Tahar Ben Jelloun (Portofino); Peter Cameron, (Capri); Edward Carey (Alberobello); Mircea Cartarescu (Firenze); Michael Cunningham (Venezia); Jeffery Deaver (Milano); Anne Enright (Taormina); Jonathan Galassi (Siracusa); Andrew Sean Greer (Firenze); Petros Markaris (Agrigento); Lorrie Moore (Napoli).
"Il Mediterraneo è diventato un mare sotterraneo, si nasconde nelle pietre!".
D'accordo, in realtà non è proprio così che ho formulato la mia prima impressione arrivando a Palermo quest'estate, ma la mia conclusione è rimasta la stessa. Una volta lì, ho trovato alla fine la soluzione di una città enigma per me, bambino di un'altra città mediterranea, Orano.
Per averne conferma, per qualche giorno mi sono aggirato, sotto un sole implacabile, nel brusio delle viuzze e in un dedalo di basoli e odori. Ho notato, con la coda dell'occhio, delle miniature di don Corleone, il personaggio del film Il padrino, in modesti ciondoli di plastica, che sembravano quasi seguirmi con lo sguardo. Probabilmente fatti in Cina, poiché Palermo non ha più la forza. Ne venivano proposti a centinaia ai turisti, di questi ninnoli, insieme a minuscole effigi di santi in pietra, spacciate per rare, così pure i portachiavi con la cattedrale. Avrei potuto aggirarmi per ore così, senza meta, fra vecchie mura e cassonetti stracolmi di immondizia, con un ricordo sulla punta della lingua. Tuttavia è proprio a Palermo che sono giunto alla conclusione di essermi a lungo sbagliato su una domanda che mi pressava da anni: il Mediterraneo c'è ancora?
Dove si nasconde? La passeggiata è andata avanti tra le vie e le grida, i venditori e i palazzi centenari e decadenti, le esplosioni di odori e l'abbondanza di oggetti per turisti, la cucina pesante e i piccoli sorrisi della gente del posto seduta nelle piazzette, indifferente agli stranieri, che sopporta come i pescatori sopportano i gabbiani.
Godevo della fine delle mie prime vacanze dopo l'esilio dell'Algeria. Ovunque in Sicilia la luce bruciava tutto, ti costringeva a rinvigorire o dormire. In alcune ore riuscivi ad avere dell'ombra soltanto chiudendo gli occhi. Il mare intorno alla grande isola apparteneva ai turisti. Mostrava spiagge come si espone un menu all'entrata di un ristorante. Ci si andava per credere di lottare con le onde e ritrovare la sensazione del proprio corpo. Abbiamo guidato per più di un'ora da Trapani. Poi, a poco a poco, il labirinto di Palermo si è svelato ai nostri occhi: muri ocra, marroni, di antiche sfumature di giallo come vecchi tessuti, una successione immobile di edifici, archi e stradine intasate.
Per quattro giorni ci siamo addentrati a Palermo come in un labirinto. Tutti col naso sulle mappe dei cellulari, a scrutare i nomi delle strade, o seguendo l'odore del cibo e dei rifiuti. Ci si perdeva, ci si ritrovava in una vecchia città senza età che incuteva la paura delle rovine e il calore della stiva di una nave di legno. Si sfogliavano le pagine di un vecchio libro, con cautela. Le righe erano appena leggibili, le illustrazioni rovinate dall'umidità. A un certo punto siamo sbucati sul mare, vicino al porto, ma poco importava. Di fronte a Palermo il Mediterraneo appariva secondario. Abbiamo deciso allora di visitare le vecchie dimore della nobiltà decaduta, per capire quantomeno l'età di quella città e della sua particolare atmosfera. Alcuni antichi personaggi illustri, come mostri esausti, decoravano i soffitti di palazzi di remote signorie. Reminiscenze di un passato di centinaia di anni fa, in cui la città prosperava. Nell'afa, alzavamo lo sguardo verso l'alto mentre le guide italiane, stanche, ripetevano informazioni in una lingua sconosciuta e melodiosa. Indicavano col dito tele, fregi, ritratti, e la storia locale sembrava un nugolo di uccelli che non si potevano afferrare con le mani.
Nel mercato rionale, i pesci luccicavano sui banchi e le casse straripavano di frutta e verdura. Nel pomeriggio siamo andati alla famosa cattedrale e lì ho spiegato a mio figlio una religione di profusione di immagini, opposta a quella, nuda e scarna, in cui sono cresciuto. Poi mi sono chiesto: cosa osserva un turista in una cattedrale? Forse la forza scomparsa di un Dio che si è ritirato dalla Storia? La suggestiva navata che offre al tempo stesso il niente e l'abbondanza? Di sicuro è ciò che diventa la fede quando muta in feticcio. Poi abbiamo mangiato, perché Palermo è anche questo: un pasto senza fine. Si mangia avidamente come nel ricordo di un cibo che proviene dall'infanzia. Abbiamo proseguito nel labirinto del cuore della città, fino a raggiungere di nuovo il mare, che anche qui si mostrava indifferente. Poi abbiamo cambiato ancora direzione, e ancora, seguendo la regola che in un dedalo si deve andare sempre a destra o sempre a sinistra.
Cosa si fa oggigiorno quando ci si ritrova in un labirinto? Non si cercano il Minotauro o il filo di Arianna, si scattano delle foto di vacanza. A centinaia. Che non si guardano nemmeno a estate finita. Con questo gesto espiatorio ci si accontenta di tenere in equilibrio un'antica angoscia della vita: come possedere quello che non si può portare via? Come tenere in equilibrio l'effimero? Nel più banale turista di Palermo si trova come la traccia caricaturale di una metafisica: scatto una foto e, così, supero la fuga del tempo. "O tempo, sospendi il tuo volo!" diceva il poeta francese prima che il turista tirasse fuori il cellulare. Mi sono detto che Palermo verrà fotografata milioni di volte in estate. Ogni clic finisce per portarne via un pezzetto, una pietra, un granello di sabbia. Forse l'usura generale della città non è dovuta al tempo e alle difficoltà economiche, ma ai fotografi e ai turisti. Gli abitanti del posto li sopportano, ridono con loro, offrono astuti sconti o li accolgono con una curiosa riconoscenza. Del resto è proprio questo a colpire: si viene a Palermo da ovunque, ma tutti sembrano riconoscersi una volta arrivati qui. Per quale miracolo succede? Di sicuro per questo: Palermo possiede una vita anteriore. Come si dice di alcune anime nel buddismo. Questa città è esistita in altre epoche ed esiste ancora oggi. È una città anteriore!
Ed è ritornando verso la casa prestatami da un amico per quei giorni che sono arrivato alla soluzione dell'enigma: il Mediterraneo esiste ancora oggi? Sì, scorre sotterraneo dentro le pietre di Palermo, ne sono certo. Se per miracolo la città dovesse tacere in un fatale momento, sentiremmo il mormorio di tutti quelli che l'hanno abitata attraverso i secoli e che vi ritornano dopo essere nati altrove.
Qui nessuno è straniero, perché lo siamo tutti.
Traduzione di Cettina Caliò