Una persona «normale» col revolver: il suo dottore chiede aiuto ai colleghi

«Faccia d’angelo si potrebbe dire, una persona al di sopra di ogni sospetto, ma questo è solo quello che si vede incontrandolo per strada, il che non ci consente di capire che cosa passa per la sua mente, quali segrete vendette sta maturando sotto il candido profilo del bravo signore e padre di famiglia». Così lo sfogo di un medico che in forma anonima ha contattato nei giorni scorsi il gruppo di ricerca. Un dottore che ha tra le mani un caso concreto e che chiede aiuto ai colleghi: «Vorrei poter leggere dentro a questo mio paziente. Vorrei che serenamente mettesse sul tavolo i suoi pensieri, le sue idee, la sua rabbia e invece devo ascoltare i suoi successi professionali e apprezzare la cravatta che sfoggia come bandiera del suo status. Colleghi cosa devo guardare? Cosa gli devo chiedere per fare in modo che si apra e poi ho veramente l’autorità per dirgli guarda è meglio che il porto d’armi tu torni tra un anno a parlarmene; sento che potrebbe sfuggirti di mano. Dovrei far leva su concetti serviti sul vassoio della diagnostica: disturbi della condotta, aggressività, violenza, disturbi del controllo, ma chi mi crede? Aspetto a firmare la richiesta, dico che forse è meglio parlarne ancora, nel suo interesse naturalmente e perché no anche nel mio e dell’intera società.

Ci rivediamo allora, ma fino a quando potrò prendere tempo? La paura è sua o è soprattutto mia di rendermi indirettamente responsabile di qualche abuso a mano armata? Non so cosa rispondere e prendo tempo, domani sarà un altro giorno e forse avrò le idee più chiare».

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