
Vittorio Sgarbi si racconta con una sincerità rara, senza filtri né paraventi, in una lunga intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Un dialogo che segna, forse, un punto di svolta personale e pubblico per il critico d’arte, tornato sotto i riflettori non per una polemica o una mostra, ma per una confessione intima e sofferta: la depressione che lo ha colpito dopo l’uscita dal governo, le conseguenze fisiche e psichiche della crisi, l’amore che lo ha salvato.
Il crollo inatteso
“Sono caduto in depressione”, dice senza esitazione. “Non avevo più voglia di vivere. Non desideravo più nulla: né l’arte, né le donne, né il cibo”. Un crollo inatteso, che ha avuto inizio con le dimissioni forzate da sottosegretario alla Cultura a seguito di un’inchiesta giudiziaria sulle sue numerose conferenze, ritenute da alcuni incompatibili con il ruolo istituzionale. Un'accusa che Sgarbi continua a ritenere infondata. “Ho subito un’ingiustizia assoluta – dichiara –. Che mi è stata riconosciuta da pochi. Solo Sabino Cassese ha scritto in mia difesa. Pigi Battista ha ricordato che tenere conferenze, per un sottosegretario alla Cultura, è quasi un dovere”.
Il voltafaccia della politica
Ma la politica, secondo Sgarbi, spesso dimentica. Il colpo è stato talmente duro da scatenare una spirale depressiva pericolosa. Il critico cinematografico ha iniziato a rifiutare il cibo, sviluppando una forma di anoressia. Il ricovero al Policlinico Gemelli di Roma è stato inevitabile. “Mi repelleva anche solo vedere il cibo – continua –. Sono arrivato a pesare 59 chili. Ho rischiato di morire. Sono stato nutrito con la flebo, per via parenterale. Ora sono tornato a 71 chili. Ma è stato un calvario”.
Sabrina Colle sempre al suo fianco
Accanto a lui, sempre, Sabrina Colle, attrice e compagna di una vita. È lei che Sgarbi indica senza esitazione come la persona che gli ha salvato l’esistenza. “Con il suo amore, con la sua presenza, con la sua forza. La sposo. Al più presto. A Venezia, nella chiesa della Madonna dell’Orto. Tra i quadri di Tintoretto e Cima da Conegliano”. Importante anche la presenza della sorella Elisabetta, che ha tentato in ogni modo di aiutarlo. “Mi portava nei migliori ristoranti della Versilia – racconta Sgarbi – ordinava tutti i piatti del menù, sperando che almeno uno mi invogliasse a mangiare”.
L’arte come medicina
Dal punto di vista artistico, Sgarbi dice di essersi rifugiato nei maestri del passato. In particolare, ha trovato conforto in Piero della Francesca e in Artemisia Gentileschi. Sorprende sentirlo rivalutare proprio l’artista che in passato aveva spesso minimizzato. “Artemisia aveva ragione. È stata ingiustamente torturata – ammette – ha resistito al dolore per dimostrare la colpevolezza di Agostino Tassi. È una figura di straordinaria forza”. Tanti, in questi mesi, gli hanno fatto sentire la loro vicinanza. Sgarbi cita Massimo Cacciari, Alain Elkann, Antonio Gnoli, Luigi Manconi. “Ha scritto parole che non mi aspettavo”, rivela, e anche alcune figure politiche: Ignazio La Russa, Lorenzo Fontana, il ministro Giuli e – quasi di nascosto – anche l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini.
La famiglia resta un cruccio
Più dolorosa, invece, è la questione familiare. In particolare il rapporto con la figlia Evelina, che ha chiesto l’interdizione del padre, sostenendo che non sia più in grado di gestire sé stesso e il suo patrimonio. “Incomprensibile – dice amaro –. Non so che cosa voglia. Ma i quadri non sono più miei. Sono della Fondazione Cavallini-Sgarbi, e sono vincolati all’Italia. Non si possono vendere, né esportare”. Di ben altro tenore le parole per l’altra figlia, Alba. “È stata nobile”, dichiara orgoglioso, mentre il figlio Carlo “si è astenuto”.
Le letture durante la convalescenza
Durante la lunga convalescenza, racconta di aver letto Ferdydurke di Gombrowicz, romanzo di formazione ironico e profondo, in cui il protagonista è riportato alla giovinezza. Una lettura che l’ha colpito profondamente, al punto da citarla per chiudere l’intervista, quasi come un manifesto di rinascita. “Se qualcuno di voi, Ferdydurkisti, risiede ancora tra i vivi, che non perda la speranza, poiché non sono morto”. Oggi Sgarbi guarda avanti con un rinnovato desiderio di vita.
Vuole tornare a scrivere, a fare teatro, a parlare di arte. “Mi ero chiuso come un riccio – conclude –.Ora sto cercando di riaprirmi agli altri. Ho sofferto molto, ma forse adesso posso ricominciare”.