Da tempo "Lo Specchio" Mondadori, la collana di poesia più autorevole d'Italia, pubblica le traduzioni dei poeti. Il nome del poeta-traduttore è messo in risalto, quasi fosse lui l'autore del testo, in posa da cannibale del linguaggio. Così sono usciti Visioni di William Blake di Giuseppe Ungaretti (2020), De rerum natura di Lucrezio di Milo De Angelis (2022) e ora Il misantropo di Molière di Valerio Magrelli (Mondadori, pagg. 216, euro 20). L'estremismo della scelta una traduzione d'autore all'ennesima svela un'estetica, una poetica. Quando traducono, i poeti sono così bravi, sono tanto autoritari, da diventare co-autori del libro tradotto. È vero? Ovviamente, dipende. Salvatore Quasimodo ha cambiato per sempre la nostra percezione dei Lirici greci: secondo Edoardo Sanguineti che suprema crudeltà sono proprio le traduzioni di Saffo e di Alceo il suo "più vero contributo originale alla poesia del nostro secolo". Incidentalmente, pigliò un Nobel. Allo stesso modo, le traduzioni da Rilke e da Georg Trakl di Giaime Pintor sono, a dire di Pier Vincenzo Mengaldo, tanto vertiginose da garantirgli uno spazio tra i Poeti italiani del Novecento, l'antologia-menhir del 1978 ristampata proprio quest'anno nello "Specchio". Eppure, il sommo Eugenio Montale era un traduttore (parere di chi scrive) maldestro: il suo Quaderno di traduzioni è tornato dal 2021 in catalogo Mondadori.
Il problema dilaga in epopea. Come si sa, Vittorio Sereni aveva un rapporto d'elezione con René Char: le sue versioni superano, per nitore, quelle di Giorgio Caproni. Un poeta occasionale, ritenuto minore come Angelo Maria Ripellino ha realizzato insuperabili traduzioni da Boris Pasternak e da Velimir Chlebnikov; le traduzioni di poeti altrimenti più grandi (Camillo Sbarbaro e Franco Fortini) passano, per lo più per scelta di adesione al testo e metrico pudore , inosservate. I tragici greci nelle versioni di Pasolini o di Quasimodo sono annientati dalle traduzioni di un non poeta di lirica veggenza come Ezio Savino (le Edizioni Ares vanno ripubblicando in singoli volumi le sue sublimi "riscritture" da Sofocle e da Eschilo)...
Oggi come oggi, il poeta italiano più grande (Alessandro Ceni, leggete I bracciali dello scudo, edito da Crocetti qualche mese fa) è anche il più grande traduttore: ha voltato in italiano Whitman e Joyce, Dickens e Coleridge, Milton e Melville. Da tempo sogno di ripubblicare Maria Banus, "una poetessa rumena del '900 tradotta da Andrea Zanzotto", come recita la banda del libro edito da Scheiwiller nel 1964, s'intitola Nuovi spazi.
La cosa più affascinante del Molière secondo Valerio Magrelli, "uno dei nostri maggiori poeti" così la "dida" dell'editore; piacque anche a Fellini, se v'importa è l'Apologia della rima di Magrelli in calce alla traduzione. Il saggio è "alla Magrelli": pieno di arguzia, di grazia e agudeza, di citazioni elicoidali, di ironia nera. L'ipotesi di fondo tradurre in rima dov'è la rima lascia, come tutte le ipotesi, il tempo che trova: occorre sperimentarla sui testi. Il misantropo secondo Magrelli andato in scena al Parenti' nel 2023 è brillante, ha lo smaliziato candore di un colto pettegolezzo. Questo, ad esempio, è Alceste che battibecca con Arsinoè, scena V, atto III: "Io non posseggo affatto dei pregi tanto rari/ per potere riuscire e fare buoni affari./ D'essere franco e schietto il mio estro consente;/ ma non posso, parlando, ingannare la gente;/ e chi non sa nascondere ciò che pensa in realtà/ dovrà fare in maniera di non sostare là". La lettura risulta un po' frastornata dall'effetto filastrocca, la vergine di ferro della rima baciata; a teatro, probabilmente, il fastidio sfuma. Magrelli ha supremo intelletto nel parlare di teoria della traduzione (indimenticabile la serie trilingue che curava per Einaudi): con altrettanta dovizia potremmo speculare intorno al sesso degli angeli.
Molière mise in scena Le Misanthrope al Palais-Royale nel giugno del 1666,
una data apocalittica. Nello stesso anno, a Costantinopoli, dove era stato arrestato, il messia ebraico Sabbatai Zevi si convertì all'islam. Ne scaturirono mistici disastri. Questi segni donati dal caso mi mandano in estro.