Il sì ai dazi anti-Cina spacca l'Europa

Roma e Parigi a favore, Berlino e Budapest contro. Il cognac nel mirino di Pechino

Il sì ai dazi anti-Cina spacca l'Europa
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Sui dazi quinquennali contro le auto elettriche prodotte in Cina, si è assistito a una nuova prova di disunione europea. Non è stata infatti raggiunta una maggioranza qualificata né a favore né contro la proposta della Commissione: 10 Stati hanno detto sì (tra cui Italia e Francia), 5 hanno votato contro (Germania e Ungheria tra questi) e 12 si sono astenuti. Ma per dare un via libera diretto ai dazi proposti dalla Commissione serviva l'ok del 55% degli Stati, cioè il 65% della popolazione. Si è così verificato il caso di «no opinion» che rimanda la decisione alla Commissione. Il verdetto, comunque, arriverà non oltre il 30 ottobre. Nel mentre, si continuerà a lavorare «intensamente» con la Cina «per esplorare una soluzione alternativa compatibile con le norme del Wto».

L'Occidente è preoccupato per i rischi di un «eccesso di capacità» cinese, alimentato da generosi sussidi e da un calo dei consumi sotto la Grande Muraglia. A non far dormire sonni tranquilli, inoltre, sono le scontate reazioni e i conseguenti boicottaggi alle produzioni europee che la Cina metterà in atto. Un caso fra tutti: l'associazione interprofessionale del cognac francese ha indicato di considerarsi «sacrificata». In gennaio

la Cina ha aperto un'indagine sui brandy europei e alla fine di agosto ha annunciato di aver trovato prove di dumping. L'obiettivo dichiarato da Bruxelles è quello di ristabilire condizioni di parità con i produttori di Pechino. Per questo, l'azione europea punta a difendere l'industria automobilistica del Vecchio continente e i suoi 14 milioni occupati dalle pratiche ritenute sleali e individuate nel corso di una lunga indagine della Commissione. A questo punto, alla tassa del 10% già in vigore, si unirà, da fine mese, una sovrattassa fino al 36,3% sui veicoli elettrici di produzione cinese. Le tasse aggiuntive ammonteranno al 7,8% per le auto «made in China» di Tesla (calcolo individuale per la Casa americana), al 17% per Byd, al 18,8% per Geely (secondo big cinese, azionista di maggioranza di Volvo) e al 35,3% per Saic (terzo gruppo del Paese asiatico e legato da joint venture con Volkswagen e anche Gm). I produttori che hanno collaborato all'inchiesta Ue saranno colpiti da un dazio del 20,7%, in leggero calo rispetto al conto originario. Tassa ridotta anche per Leapmotor (Stellantis) in attesa della produzione in Polonia.

Perché il no di Berlino e Budapest? Le industrie tedesche, che hanno investito nel mercato cinese e contano molto sulle vendite in quel Paese, temono ora di essere colpite da azioni di ritorsione. Lo stesso

vale per l'Ungheria, dove il colosso delle batterie Catl ha realizzato l'investimento estero più importante: 9,7 miliardi di dollari. Il commento di Mario Draghi, ex premier italiano e autore del recente Rapporto competitività: «Su un tema sensibilissimo, come questi dazi, i 27 si sono spaccati in tre. In mancanza di una strategia industriale comune, l'alternativa è 27 strategie industriali diverse e scoordinate». Concetto che l'esito del voto ha ribadito. L'auspicio del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, è che «il negoziato riprenda sia in bilaterale sia in sede di Wto per giungere a una soluzione condivisa nel rispetto delle regole internazionali».

«Occorre - aggiunge - preservare la partnership industriale e commerciale con la Cina con cui vogliamo continuare a lavorare in una logica win-win basata sul principio della reciprocità anche ai fini della stabilità economica globale». La posizione di Stellantis: «In questo momento di transizione, le politiche che sostengono la domanda e garantiscono la stabilità delle regole sono più importanti che mai».

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