"Avrebbe solo 15 minuti", il presidente Usa e la risposta ad un attacco nucleare

Il New York Times analizza cosa accadrebbe nei pochi minuti a disposizione del leader degli Stati Uniti per rispondere ad un eventuale attacco nucleare da parte di una potenza ostile. I rischi di un sistema che permette solo al presidente di decidere come reagire ad un'aggressione atomica

"Avrebbe solo 15 minuti", il presidente Usa e la risposta ad un attacco nucleare

Se una nazione ostile lanciasse un missile nucleare intercontinentale contro il territorio degli Stati Uniti, il presidente americano avrebbe circa 15 minuti per decidere come rispondere. Ma cosa accadrebbe in quel limitato frangente temporale dopo il quale nulla sarebbe più come prima? Prova a dare una risposta all’angosciante interrogativo il New York Times, che negli ultimi giorni ha pubblicato una serie di articoli sulla minaccia posta dalle armi atomiche in un mondo sempre più instabile. E non è un caso che l’analisi dell’autorevole quotidiano arrivi in un periodo storico in cui Vladimir Putin e gli alleati del Cremlino evocano quasi quotidianamente il possibile impiego di armi di distruzione di massa contro l’Ucraina e la coalizione occidentale che supporta Kiev contro l’aggressore russo. Per non parlare poi delle provocazioni compiute dal dittatore nordcoreano Kim Jong Un contro Seul, Tokyo e Washington.

Terribile countdown

L’eventualità di un attacco contro l’America presenta numerose incognite ed un paio di certezze. A differenza di altre tipologie di risposte militari che permettono in alcune specifiche circostanze il coinvolgimento del Congresso, i protocolli in caso di un attacco nucleare prevedono invece che sia solo il presidente degli Stati Uniti a stabilire come reagire per evitare che le difese nazionali vengano annichilite.

Ovunque possa trovarsi in quel momento, il commander in chief, come menzionato, avrebbe una quindicina di minuti per impartire un ordine ad un comando militare nei pressi di Omaha nel Nebraska. Più precisamente sarebbe in contatto con il Battle Deck, una grande sala ultraprotetta collocata nel sottosuolo ad una profondità di quasi 14 metri, dello Us Strategic Command (Stratcom). Una base operativa 24 ore su 24 preparata - mette i brividi a pensarci - a ricevere la chiamata della fine del mondo dal presidente.

All’interno del Battle Deck il comandante dello Stratcom, il generale Anthony Cotton, e il suo team sarebbero gli unici a poter comunicare in linea diretta con Potus per informarlo sulle opzioni di risposta nucleare disponibili. Autorizzato il lancio di missili, i display sulle pareti dello stanzone comincerebbero ad indicare il tempo necessario alle armi americane per raggiungere il territorio del Paese aggressore oltre al tempo stimato per l'impatto dei missili nemici.

Facendo un passo indietro per ricostruire i concitati momenti successivi al lancio delle testate nucleari da parte di una nazione ostile, un’infografica del New York Times indica quanti secondi passerebbero prima che Washington avesse contezza dell’arrivo imminente dei dardi micidiali. Si stima che il sistema satellitare di sorveglianza Usa riuscirebbe a individuare in un minuto l’impronta termica dei missili in volo mentre altri circa 60 secondi sarebbero impiegati dai radar per "agganciarli".

A tre minuti dall’inizio della crisi il North American Aerospace Defense Command (Norad) analizzerebbe quindi i dati pervenuti per stabilire se si tratti, o meno, di un attacco reale. Dopo un paio di minuti necessari per completare le valutazioni sull’autenticità della minaccia, il Norad contatterebbe un funzionario designato della Casa Bianca per informare il presidente il quale dovrebbe convocare una riunione di emergenza.

All'incontro ovviamente sarebbe presente anche il militare con la nuclear football, la valigetta che contiene i codici di lancio per le armi atomiche. Dopo aver esaminato tutte le opzioni disponibili insieme al comandante responsabile delle forze nucleari, al presidente resterebbero appena cinque minuti per studiare la reazione stabilita e coordinarsi con gli alleati. La Signora in grigio prova persino ad immaginare i pensieri e le domande che attanaglierebbero a quel punto il leader del mondo libero. Quante vite americane sono a rischio? Cosa farà il nemico quando reagiremo? E per ultima la più spaventosa: alla fine rimarrà qualcosa?

Negli ultimi due minuti dei 15 a disposizione per organizzare la risposta degli States, il presidente deciderebbe l'opzione più efficace e la comunicherebbe ai militari identificandosi con un codice conosciuto come “nuclear biscuit”, il cartellino con i codici di autorizzazione al lancio da cui il commander in chief non si separa mai. Ciò che accadrebbe dopo è un territorio inesplorato che speriamo di non scoprire mai.

La paura del numero uno

Dopo aver ricostruito la catena degli eventi previsti in caso di un attacco missilistico contro gli Usa, il New York Times sottolinea il fatto che il presidente sia l’unico a poter decidere l’utilizzo delle circa 3700 armi nucleari americane e ad avere così la responsabilità della sicurezza di 334 milioni di statunitensi e di milioni, se non di miliardi, di cittadini di altri Paesi. Un potere in grado di alterare il corso della storia dell’umanità.

L’argomento è tornato di stretta attualità non solo a causa della guerra russa contro l'Ucraina ma anche per gli effetti dell’età avanzata sulle capacità cognitive di Joe Biden e di Donald Trump. In particolare la probabilità di un ritorno alla Casa Bianca del miliardario fa tornare alla mente le minacce di bombardamenti da lui rivolte alla Corea del Nord nel 2017 e le preoccupazioni sollevate negli anni Settanta da Richard Nixon, afflitto da alcolismo e depressione e per questo guardato a vista dai suoi assistenti.

La pressione immane che grava su un’unica persona appare insostenibile e pericolosa e un recente sondaggio mostra come il 61% degli americani non sia a suo agio con un tale livello di potere decisionale. “È una questione complicata e quasi teologica”, afferma Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale nell'amministrazione Biden, che ha confermato l'esistenza di uno studio finalizzato a modificare la policy sulla materia.

Capitol Hill dovrebbe stabilire una nuova procedura che impedisca al presidente "di ordinare un attacco nucleare senza il consenso di un alto funzionario a meno che gli Usa non siano già sotto attacco”, scrive il quotidiano newyorkese secondo il quale la riforma proposta eliminerebbe la possibilità di un Armageddon atomico scatenato dalla follia di un leader o da un "semplice" errore

e mostrerebbe agli avversari dell’America che Washington è impegnata a scongiurare il verificarsi della più catastrofica delle guerre. O, per dirla in altri termini, della guerra che porrebbe fine a tutte le altre guerre.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica