
Parlo di me, ma so che accade a tanti. Su Gaza nella mia coscienza si presentano sentimenti e giudizi contrastanti. E si fanno guerra tra loro, come se di guerre non ce ne fossero già abbastanza.
Le immagini di adesso, non di dieci minuti fa, schiacciano il petto.
Bambini che sono scheletri di passeri, con il pancino gonfio.
Allargando l’obiettivo ecco un territorio polveroso di macerie dove si spostano masse di persone che improvvisamente rincorrono un camion, e sono a loro volta inseguite da raffiche di mitraglia, carri armati con la Stella di Davide tengono bloccati centinaia di Tir carichi di vivande che vanno in malora. Il sentimento di orrore genera un giudizio di ingiustizia. Il giudizio sul da farsi si impone come un imperativo. Qualunque siano le colpe dei padri di quei bimbi che vent’anni fa hanno affidato il loro destino ad Hamas, qualcuno porti loro del latte, attraversi quei gruppi di madri che tengono in mano dei pacchetti leggerissimi avvolti in lenzuola legate con lo spago, sudario dei figlioletti morti. Questo spettacolo deve finire. Deve finire e basta. E la risposta secca su chi debba aprire varchi ai soccorsi si trasforma in una invocazione che è un’accusa: Israele, il suo governo.
Da qui l’appello del Papa e di 28 governi tra cui quello italiano – certo amico e alleato di Israele – perché tutto questo cessi. Di fatto, il primo giudizio che si fissa nell’animo inchioda Israele.
La memoria porta davanti agli occhi altre immagini. Sabato 7 ottobre 2023. Eccoli sui motorini, sulle mongolfiere uscire da Gaza questi carnefici di Hamas, operanti d’intesa con gli ayatollah iraniani, gli Hezbollah libanesi, gli Houthi dello Yemen. Invadono Israele per infliggere un colpo a tradimento capace di stroncarne il caposaldo interiore. Mille e trecento assassinati subito. La volontà espressa allora, e da portare fino alla soluzione finale che Hitler mancò, è di annientare l’altro purché ebreo; per cui sia bambino, giovane o vecchio va stecchito, le ragazze prima stuprate e poi sgozzate. E così accade tra grida di ferocia e di godimento. I commando palestinesi ammazzano anche i cani accucciati presso i padrini insanguinati.
Quasi trecento israeliani sono rapiti e saranno commerciati come pezzi di carne viva o morta.
E c’è un altro 7 ottobre, che è adesso, che continua ogni giorno: Hamas non molla le decine di ostaggi-larva mostrati nei cubicoli. E combatte la guerra che si gioca nella nostra mente scagliandoci contro i bambini scheletrici per indirizzarci a odiare Israele. Preparando futuri 7 ottobre, grazie alla vittoria morale che diventerebbe militare. Sono intatti, e pronti a sfornare altri manipoli di fedain, i tunnel-città, centinaia di chilometri sotterranei che le truppe speciali ebraiche hanno penetrato solo perifericamente. E dove Hamas conserva scorte di viveri per i propri capi e militanti: basta osservare il fiorente mercato nero in cui circolano farina, riso e pesce a prezzi cento volte quelli di mesi fa. Da dove arrivano se non dalla rapina dei soccorsi operata da Hamas?
E quindi? Quale è la sintesi? Come stabilire una qualche pace benevola? La ricetta non ce l’ho.
So due cose. La prima è che si devono salvare quei bambini di Gaza, e che non è possibile deportare milioni di persone come fossero libri da spostare di scaffale. Sarebbe una tragica finzione. Nel 1915 i turchi, in Medioriente, vicino ad Aleppo, condussero nel nulla gli armeni determinando il primo genocidio del secolo scorso (un milione e mezzo di cristiani uccisi per fame o a sciabolate). La seconda cosa che so è che si deve impedire ad Hamas di riorganizzarsi, e va divelto l’antisemitismo che oggi è un’alluvione. Ripeto. E allora? Boh. Ho una filiforme speranziella.
Constato che oggi in quella maledetta Striscia si affrontano due prospettive testarde: chi si prepara a nuovi 7 ottobre fino alla vittoria finale (zero Stato di Israele) e chi vuole la fine di Gaza come entità fatta dai gazawi e pure della Cisgiordania (zero Stato palestinese). Da qui lo stallo dell’orrore. E l’unica strada realistica – applicando la teoria dei giochi - è che uno dei due popoli schiacci l’altro senza fare prigionieri.
E quale delle due nazioni – con la sua idea di terra, di libertà, di cultura – dovremmo tifare sparisca dalla faccia della terra? Ovvio per me: stare con Israele. Ma se l’Occidente dovesse fare una scelta simile, sarebbe l’ultima. Non sarebbe più Occidente. La famosa civiltà ebraico -cristiana sarebbe seppellita, tanto varrebbe farci islamici.
Che fare? Soprattutto chi essere? Non ho nulla da insegnare ai figli di Israele, spero nel suo popolo più che nel suo governo. Isaac B. Singer, Nobel della letteratura, nella Famiglia Moskat propone questo dialogo, ambientato e scritto nella Polonia degli anni Trenta, profetico di quel che sarebbe accaduto. Domanda: «Che cosa sono gli ebrei, in sostanza?». Risposta: «Un popolo che non può dormire e non lascia dormire nessun altro». Replica: «Forse perché hanno una cattiva coscienza». Controreplica: «Gli altri non hanno coscienza addirittura».
Gli ebrei hanno la coscienza, sono stati loro a iniettarla nella nostra civiltà. Ci si salva insieme con gli ebrei, senza far soffrire alcun bambino, qualunque figlio di buona donna sia stato il padre. Questa è la mia speranziella. Ma probabilmente sono un idiota.