Chi c'è dietro gli attacchi contro gli Usa in Medio Oriente

L'attacco con droni in Iraq è uno dei primi attacchi realizzati dalle forze filoiraniane dopo la strage dell'ospedale di Gaza

Chi c'è dietro gli attacchi contro gli Usa in Medio Oriente
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Sono pochi gli osservatori rimasti sorpresi dagli attacchi con i droni avvenuti nelle ultime ore in due momenti distinti contro le basi americane di al-Asad e di al-Harir in Iraq, Paese in cui gli Stati Uniti hanno un contingente di 2.500 soldati con la missione di assistere le forze locali impegnate contro gli uomini dello Stato Islamico. Gli attentati avrebbero causato alcuni feriti e una quantità di danni poco rilevanti ma si inseriscono nel contesto d'instabilità in cui è precipitato il Medio Oriente dopo la strage del 7 ottobre.

Per Israele “il tempo è scaduto”. Mentre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden era ancora in viaggio verso Tel Aviv, il ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian rilasciava questa dichiarazione lapidaria e sibillina rivolta per estensione anche al Paese da loro considerato il Grande Satana. Un messaggio riportato anche in un post dell’ambasciata dell'Iran in Siria. La tensione era salita a seguito dell'esplosione avvenuta lunedì sera nel cortile dell'ospedale Al Ahli nella Striscia di Gaza per la quale Tel Aviv ha diffuso prove del coinvolgimento della Jihad islamica. Per l'Iran, come per migliaia di musulmani scesi in piazza in diversi Paesi del Medio Oriente, la responsabilità è però da attribuire solo allo Stato ebraico. Gli attentati in Iraq chiarirebbero quindi in maniera eloquente il significato della minaccia di Abdollahian.

Il regime degli ayatollah è impegnato da tempo in una guerra strisciante contro Tel Aviv e Washington affidata ai proxy, gli alleati non statuali dell'Iran come Hamas e Jihad islamica a Gaza, Hezbollah in Libano, i ribelli Houthi in Yemen e varie milizie in Iraq. Queste ultime in passato sono state protagoniste dei mortali attacchi contro le truppe americane stanziate nel Paese. Gli Stati Uniti come misura di deterrenza hanno inviato due portaerei nel Mediterraneo orientale per scoraggiare gli iraniani dallo sfruttare a proprio vantaggio la guerra d’Israele contro Hamas.

In un report redatto poco prima degli ultimi avvenimenti in Iraq dal Washington Institute for Near East Policy e rivelato dal Jerusalem Post le milizie irachene sciite vicine all’Iran avevano cominciato a scambiare comunicazioni in codice con riferimenti religiosi subito dopo la strage compiuta da Hamas il 7 ottobre. Il think tank evidenziava come i messaggi fossero apparsi su Saberren News, un sito collegato alle forze iraniane di al-Quds, l’unità speciale dei Guardiani della rivoluzione, e ad altri militanti parte dell’“asse della resistenza" di Teheran. Il report pubblicato lunedì scorso concludeva pertanto che questi comunicati indicassero attacchi imminenti organizzati in segno di solidarietà nei confronti del movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza dal 2007.

La nostra posizione è chiara. Se gli Usa interverranno nella battaglia con Hamas noi attaccheremo obiettivi americani”, ha dichiarato Hadi al-Ameri, il capo dell’Organizzazione Badr in Iraq. Gli esperti non ritengono che i militanti iracheni siano una minaccia significativa al pari di quella rappresentata da Hezbollah. Il gruppo sciita stanziato in Libano, secondo alcuni scenari analizzati dai militari israeliani starebbe attendendo l’avvio dell’operazione di terra a Gaza - dai contorni ancora non definiti - per aprire un secondo fronte a nord e lanciare così un attacco a tenaglia contro lo Stato ebraico.

Dopo la coincidenza della strage di Hamas compiuta a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur, ai media israeliani non è sfuggito l’avvicinarsi di un’altra dolorosa ricorrenza: quella del quarantesimo anniversario dell’attentato che il 23 ottobre del 1983 devastò la base delle forze di peacekeeping americane e francesi a Beirut causando 307 morti. Un'altra data che le intelligence occidentali staranno di certo tenendo d'occhio.

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