L'appetito di Vladimir Putin per nuove conquiste territoriali potrebbe non esaurirsi con l'Ucraina. Se negli ultimi mesi l'allarme per le mire del capo del Cremlino si è fatto particolarmente intenso in alcuni Stati dell'Europa orientale tra cui la Moldova, la Polonia e i Paesi baltici, segnali preoccupanti arrivano anche dall'Asia centrale e dal Caucaso meridionale. Infatti, è qui, nello specifico in Kazakistan e in Armenia, che lo zar starebbe preparando la sua prossima mossa per realizzare il suo progetto di una Russia neoimperiale. E questa volta, a differenza che con Kiev, Putin potrebbe non avere bisogno di fare ricorso ai carri armati. O, almeno, non subito.
Ad analizzare la nuova minaccia russa sono gli esperti Seth Cropsey, ex vicesegretario della Marina ai tempi di Ronald Reagan, e Joseph Epstein, direttore del Turan Research Center. Gli analisti, il cui intervento è stato pubblicato dal Washington Post, partono da una semplice considerazione: il Kazakistan e l'Armenia stanno scivolando via dalla sfera di influenza russa a cui appartenevano storicamente. Un processo accelerato dalla guerra in Ucraina che ha trovato conferma in un rapporto confidenziale presentato nel 2024 dal primo ministro russo Mikhail Mishustin, il quale ha ammesso che la Russia sta perdendo terreno in Asia centrale e nel Caucaso.
Quanto sostenuto da Mishustin, emerso grazie alle rivelazioni del Financial Times, va letto alla luce del crescente interesse dimostrato dagli Stati Uniti nei confronti del "cortile di casa" della Federazione. Il Kazakistan infatti possiede vaste riserve di terre rare e con l'Armenia si colloca nel mezzo di una strategica rotta commerciale che unisce l'Asia all'Europa permettendo di aggirare la Russia e l'Iran.
Con queste premesse, non stupisce dunque che il Cremlino, volendo impedire la realizzazione di uno scenario ad esso sfavorevole, negli scorsi mesi abbia intensificato i suoi sforzi per destabilizzare la regione. Cropsey e Epstein ricordano che in Kazakistan agenti della Federazione avrebbero cercato di fomentare disordini nel nord del Paese, a maggioranza russa. Non meno spregiudicate le azioni russe in Armenia dove le autorità hanno arrestato un uomo d'affari filo-russo intenzionato a realizzare un colpo di Stato mentre la Chiesa armena, accusata dai dissidenti di avere legami con gli 007 russi, si è rivoltata contro il governo.
Le manovre di Putin ad Astana e Yerevan sembrano ricordare il copione seguito da Mosca contro Kiev. Particolarmente vulnerabile alle iniziative ostili del Cremlino sarebbe il Kazakistan che ha il confine ininterrotto più lungo con la Russia e ospita la più grande comunità russa dopo quella ucraina. Legislatori ed esperti della Federazione hanno messo in dubbio la sua integrità territoriale (Putin stesso ha detto che "i kazaki non hanno mai avuto uno Stato" e i media accusano il governo locale di "russofobia" e laciano appelli a difesa della popolazione di etnia russa.
Gli esperti sostengono che probabilmente Mosca non avvierà un conflitto contro Astana in contemporanea con quello contro Kiev ma ha comunque già cominciato a preparare il terreno. Lo dimostrano documenti russi trapelati e pubblicati da Radio Free Europe/Radio Liberty in cui si scopre come la macchina della propaganda russa stia diffondendo narrazioni favorevoli al Cremlino.
In Armenia, intanto, Putin starebbe cercando di fomentare sentimenti nazionalistici tramite organi di informazione come Sputnik Armenia, riecheggiati inconsapevolmente dai gruppi della diaspora contrari all'accordo di pace siglato ad agosto da Yerevan e Baku sotto la mediazione di Donald Trump. Mosca, affermano gli analisti, punta a far cadere il governo del primo ministro Nikol Pashinyan e a far deragliare il processo di pace tra Armenia e Azerbaigian per ripristinare la sua influenza sul "Corridoio di Mezzo".
All'analisi pubblicata dal Washington Post si aggiunge un elemento di imprevedibilità determinato dal fattore Trump. Lo sgretolamento dell'influenza russa nel suo vicinato e l'apertura a nuovi alleati, Stati Uniti in primis, è stato di recente facilitato dal riavvicinamento, per quanto incostante, del tycoon al presidente russo.
Per il New York Times, l'apertura di The Donald nei confronti di Mosca (e l'allentamento delle tensioni con la Cina) ha permesso ai Paesi dell'Asia centrale di stringere con più facilità legami con l'America. A tal proposito, non sarà sfuggito al Cremlino che proprio ieri il leader Usa ha ricevuto alla Casa Bianca i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.