Il nuovo ruolo di Roma nei conflitti internazionali

L’ultimo segnale arriva dai colloqui appena avviati tra Stati Uniti e Iran, per trovare un accordo sul nucleare. È una strada di circa 12mila chilometri quella che separa e collega Washington a Teheran: con Roma a fare da snodo di mediazione

Il nuovo ruolo di Roma nei conflitti internazionali
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Le linee di comunicazione criptate della diplomazia globale corrono veloce. Gli ingegneri dell’ordine e del caos sono in servizio a tutte le latitudini; per accendere, spegnere, o contenere focolai di crisi. L’ultimo segnale arriva dai colloqui appena avviati tra Stati Uniti e Iran, per trovare un accordo sul nucleare. È una strada di circa 12mila chilometri quella che separa e collega Washington a Teheran: con Roma a fare da snodo di mediazione. Proprio nella capitale italiana alla fine si svolgerà il secondo round tra le due delegazioni capeggiate dall’inviato speciale statunitense per il Medioriente e il ministro degli Esteri iraniano: Steve Witkoff e Abbas Araghchi.

Per questa ragione, e non solo, a Washington stanno affrettando le pratiche burocratiche - via il Congresso - per la missione diplomatica di Tilman Fertitta, miliardario texano con origini siciliane, destinato ad essere il prossimo inquilino di Villa Taverna. Tra i vari dossier che dovrà maneggiare c’è anche quello iraniano, strettamente collegato al ruolo che il governo di Giorgia Meloni, supportato

in particolare dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) diretta dal Generale Giovanni Caravelli, potrà giocare nel medio e lungo periodo. L’Italia, dai tempi di Enrico Mattei, viene considerata una nazione affidabile dalla controparte iraniana. E si è potuto verificare di recente nello scambio – seppur non dichiarato – con l’ingegnere Mohammed Abedini, che è stato fermato e poi, come da accordi, rilasciato nella metà di dicembre scorso. Mentre per gli americani, questa, rimane una piattaforma strategica imprescindibile, per ragioni geografiche e soprattutto storiche, vista la presenza di una moltitudine di basi militari sul suo territorio.

Questa accelerazione, volta ad autorizzare il mandato di Fertitta, va di pari passo con gli affari mediorientali, nonché con le macchinazioni all’interno degli apparati di potere che ruotano attorno alla Casa Bianca. Proprio Tulsi Gabbard, ex democratica e veterana di guerra, divenuta direttrice della National Intelligence, e Pete Hegseth, Segretario alla Difesa, hanno da poco, silenziosamente, vagliato due nomine decisive nei loro rispettivi dipartimenti. La prima è quella di William Ruger, ex membro del Charles Koch Institute (think tank libertario e anti-neocon molto influente negli Usa) divenuto vicedirettore dell’intelligence nazionale per l’integrazione delle missioni; la seconda, invece, sarebbe quella di Elbridge Colby, ora sottosegretario di Trump

per la politica presso il Pentagono. Entrambi avrebbero già mostrato, in passato, una comune visione realista nella proiezione degli Stati Uniti nel mondo, nonché un marcato scetticismo nei confronti delle azioni militari all’estero, compresa un’ipotetica azione bellica contro l’Iran. A caldeggiare queste nomine, avversate internamente al mondo repubblicano dai cosiddetti «falchi», sono stati sia Donald Trump Jr, che il vicepresidente JD Vance, il quale, già il 26 ottobre 2024, intervistato nel podcast The Tim Dillon Show, dopo aver ribadito il diritto di Israele a difendersi, aveva poi sottolineato la sua contrarietà nel far trascinare gli Stati Uniti in una guerra su larga scala regionale. Lo stesso JD Vance che è volato a Roma - insieme alla premier di rientro da Washington in missione per conto della nuova amministrazione neo-realista di Trump.

L’Italia è un crocevia strategico, più che un «giardino di casa», ora il centro della diplomazia mondiale, con il Giubileo a fare da cornice. E costringerla a sbilanciarsi da una o dall’altra parte può diventare prima di tutto controproducente per la Casa Bianca. Giorgia Meloni ha così la possibilità di definire il suo «lodo», come fece Aldo Moro.

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