Meloni all'Onu: "Israele oltre i limiti. Mosca ha calpestato il diritto"

Il premier ha citato Papa Francesco sulla "Terza guerra mondiale a pezzi" e ha fatto appello alla responsabilità di tutti

Meloni all'Onu: "Israele oltre i limiti. Mosca ha calpestato il diritto"
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Nella notte italiana, Giorgia Meloni è intervenuta all'Onu con un discorso che è stato incentrato sulla grave e deteriorata situazione geopolitica internazionale, facendo appello alla responsabilità di tutti per trovare una quadra che eviti ulteriori gravi escalation dei conflitti. È stato un discorso di 16 minuti, in italiano, che si è rivolto principalmente agli attori dei conflitti ma che ha anche posizionato l'Italia in maniera chiara e lucida nello scacchiere internazionale. "Viviamo un fase storica accelerata, complessa, con opportunità ma denso di pericoli, sospesa tra guerra e pace. Nel mondo sono in corso 56 conflitti, il numero più alto dalla seconda guerra mondiale. Un mondo molto diverso da quella in cui è nata l'Onu" con l'obiettivo di mantenere la pace. "Ci siamo riusciti? La risposta è nella cronaca ed è impietosa. Pace, dialogo, diplomazia non riescono più a convincere e vincere", ha esordito il premier.

Il conflitto a Gaza

Nel suo intervento, Giorgia Meloni ha citato le parole di Papa Francesco sulla "Terza guerra mondiale combattuta a pezzi", ricordando tra i conflitti più allarmanti quelli in Ucraina e a Gaza. Proprio sul conflitto in corso in Medioriente, il presidente del Consiglio ha preso una posizione netta ma equilibrata, dichiarando che "la reazione deve rispettare il principio di proporzionalità e Israele ha superato quel limite e su questo limite ha finito di infrangere norme umanitarie causando una strage tra civili". Una scelta, ha sottolineato, "che l'Italia ha definito inaccettabile e che porterà al nostro voto favorevole su alcune delle sanzioni proposte dall'Ue nei confronti di Israele".

Israele, ha aggiunto, "non ha il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese, né di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo". Ma, ha scandito con fermezza, il riconoscimento della Palestina "deve avere due condizioni irrinunciabili: il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e la rinuncia da parte di Hamas ad avere qualsiasi ruolo nel governo della Palestina, perché chi ha scatenato il conflitto non può essere premiato". Lo Stato di Israele "deve uscire dalla trappola di questa guerra. Lo deve fare per la storia del popolo ebraico, per la sua democrazia, per gli innocenti, per i valori universali del mondo libero di cui fa parte". Ma servono azioni "concrete", perché la pace "non si costruisce solo con gli appelli, o con proclami ideologici accolti da chi la pace non la vuole" ma lo si fa con "pazienza, con coraggio, con ragionevolezza".

Ha, poi, definito "interessanti" le proposte che il presidente degli Stati Uniti ha discusso con i Paesi arabi, dicendosi pronta "ovviamente a dare una mano". L'Italia, ha detto rivolgendosi all'assemblea, "c'è e ci sarà per chiunque sia disposto a lavorare a un piano serio", che include, oltre alle due condizioni citate precedentemente, anche il graduale ritiro di Israele da Gaza, l'impegno della comunità internazionale nella gestione della fase successiva al cessate il fuoco, fino alla realizzazione della prospettiva dei due Stati.

Il conflitto in Ucraina e la persecuzione dei cristiani

Nel suo discorso, Meloni non ha evitato di affrontare anche il conflitto in corso in Ucraina, scatenato dalla Russia, che "ha deliberatamente calpestato l'art 2 della carta dell'Onu e ancora oggi non si mostra disponibile a sedere al tavolo della pace con effetti destabilizzanti". Il Paese guidato da Vladimir Putin, ha aggiunto il premier, ha inferto una "profonda ferita al diritto internazionale". Così come la aggravano le persecuzioni dei cristiani, portate da Meloni all'Onu, perché "le Nazioni Unite non possono ipocritamente considerare alcuni diritti umani meno meritevoli di essere tutelati rispetto ad altri". Ha quindi sollevato davanti all'Assemblea il "valore negato della libertà religiosa" e le "decine di milioni di persone in tutto il mondo, in larga parte cristiane, perseguitate, massacrate, in nome della loro fede".

La riforma dell'Onu

Ma anche a fronte di questi due conflitti, che hanno inevitabilmente avuto ripercussioni sugli equilibri dell'Onu, il premier ha chiesto ai presenti se "L'architettura delle Nazioni Unite che abbiamo costruito 80 anni fa, è all'altezza delle sfide che la nostra epoca ci impone oggi". La risposta è, ovviamente, negativa nella visione del presidente del Consiglio italiano, e "multilateralismo, dialogo e diplomazia, senza istituzioni che funzionano come dovrebbero sono solo parole vuote". Bisogna riconoscere i propri limiti, ha aggiunto Meloni, "riconoscere che è necessaria, e urgente, una riforma profonda delle Nazioni Unite. Una riforma non ideologica, ma pragmatica, realista. Che rispetti la sovranità delle Nazioni e apra a soluzioni condivise".

Serve, ha aggiunto, "un'istituzione agile, efficiente, in grado di rispondere velocemente alle crisi. Trasparente nella missione, trasparente nei costi. Capace di ridurre al minimo la burocrazia, gli sprechi, le duplicazioni. Il Palazzo di Vetro deve essere anche una Casa di Vetro". La riforma che ha in mente l'Italia "a partire dal Consiglio di Sicurezza, deve rispettare i principi di eguaglianza, democraticità, rappresentatività e responsabilità. Non servono nuove gerarchie e non servono nuovi seggi permanenti, semplicemente perché non risolverebbero la paralisi". Ha proseguito sottolineando che le convenzioni che regolano la migrazione e l'asilo sono "regole sancite in un'epoca nella quale non esistevano le migrazioni irregolari di massa, e non esistevano i trafficanti di esseri umani".

Quindi, sono "convenzioni non più attuali in questo contesto che, quando vengono interpretate in modo ideologico e unidirezionale da magistrature politicizzate, finiscono per calpestare il diritto, invece di affermarlo". L'Italia ha sollevato questo tema con altri Stati europei, ha proseguito Meloni, "non ovviamente per abbassare il livello delle garanzie, ma per costruire un sistema che sia al passo con i tempi, capace di tutelare i diritti umani fondamentali, insieme però alla sacrosanta prerogativa di ogni Nazione di proteggere i propri cittadini e i propri confini, esercitare la propria sovranità, e governare il tema della migrazione, che impatta sulle persone, e particolarmente su quelli più fragili".

Una nuova cooperazione tra le Nazioni

E in quest'ottica, ha aggiunto, "serve anche un nuovo modello di cooperazione tra le Nazioni. Ma costruirlo richiede umiltà, consapevolezza, e fiducia nell'interlocutore che si ha di fronte. L'Italia sta cercando di fare la sua parte anche in questo, su tutto con il suo Piano Mattei per l'Africa" dove l'Italia, ha sottolineato, "a differenza di altri attori, non ha secondi fini". Non è interesse del nostro Paese "sfruttare il Continente africano per le ricchissime materie prime che possiede. Ci interessa, invece, che l'Africa prosperi processando le sue risorse, dando lavoro, e una prospettiva, alle sue energie migliori, potendo contare su governi stabili e società dinamiche, e sicure". Parlando poi del debito delle Nazioni africane, ha ricordato che "l'Italia prevede di convertire, nei prossimi 10 anni, l'intero ammontare del debito per le Nazioni economicamente meno sviluppate, secondo i criteri della Banca Mondiale, e di abbattere del 50% quello delle Nazioni a reddito medio-basso". In 10 anni, questa manovra permette di convertire in progetti di sviluppo, da attuare in loco, oltre 235 milioni di euro di debito.

La critica ai Green Deal

E dall'Onu, il premier ha voluto fare un passaggio anche su una delle manovre più incomprensibili attuate dall'Occidente contro se stesso, i Green Deal, "i piani verdi che in Europa - e nell'intero Occidente - stanno portando alla deindustrializzazione molto prima che alla decarbonizzazione". Un "ecologismo insostenibile" che "ha quasi distrutto il settore dell'automobile in Europa, creato problemi negli Usa, causato perdite di posti di lavoro, appesantito la capacità di competere e depauperato la conoscenza. Ci sono voluti secoli per costruire i nostri sistemi, ma bastano pochi decenni per ritrovarsi nel deserto industriale. Solo che, come ho detto molte volte, nel deserto non c'è nulla di verde". Trent'anni di globalizzazione fideistica, ha detto ancora, "sono finiti, ne sono stati sottovalutati i contraccolpi" e oggi siamo davanti a "conseguenze inattese che inattese non erano", di grave portata per i cittadini, per le famiglie e per le imprese.

"Non è andato tutto bene, come pure veniva promesso. E vi do un'altra notizia: le cose potranno andare molto peggio, se non fermeremo la creazione a tavolino di modelli di produzione insostenibili", ha detto ancora.

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