Politica internazionale

Migranti, cos'è la missione Sophia e perché il governo ora vuole rilanciarla

Meloni e Piantedosi d'accordo con il ripristino della missione Sophia, ma a condizione di una sua completa attuazione: "Solo così potrà esserci il blocco navale"

Migranti, cos'è la missione Sophia e perché il governo ora vuole rilanciarla

Si torna a parlare di missione Sophia dopo almeno otto anni dalla sua sostituzione ed almeno tre dall'avvio di una missione “gemella”, denominata Irini. Giorgia Meloni domenica ha fatto riferimento alla precedente operazione in relazione alla possibilità di frenare l'attuale imponente ondata di sbarchi. Nelle scorse ore a rimarcare il concetto è stato anche il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. L'idea è quella di attuare tutte e tre le fasi dell'operazione per allestire un blocco navale.

Cos'è la missione Sophia

L'operazione non è certo stata menzionata per caso dal presidente del consiglio e dal capo del Viminale. Quando è stata ideata, l'obiettivo dichiarato era quello di combattere i trafficanti di esseri umani, oltre che di fermare le stragi nel Mediterraneo. Obiettivi più volte rimarcati anche dall'attuale esecutivo e dall'attuale maggioranza.

La missione Sophia è stata avviata nel maggio del 2015, sulla scia della più grave sciagura fino ad oggi registrata nel cuore del "mare nostrum". Ossia il naufragio di un grande peschereccio partito dalla Libia nell'aprile di quello stesso anno: ancora adesso, su quel disastro, i numeri non sono chiari essendo stati registrati almeno 700 dispersi e forse più.

Il clamore suscitato dalla tragedia ha spinto all'intervento della stessa commissione europea, all'epoca guidata dal lussemburghese Juncker. Si è così arrivati all'approvazione della missione, formalmente denominata Eunavformed ma conosciuta per l'appunto con il nome Sophia. L'operazione ha ricevuto il via libera definitivo il 18 maggio 2015 ed è ufficialmente partita il mese successivo. Almeno sette i Paesi Ue che hanno contribuito, tra cui ovviamente l'Italia.

Tre le fasi individuate per l'attuazione della missione. La prima consisteva in una generica sorveglianza e la valutazione delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo. La seconda invece in un'attività di ricerca e soccorso in mare. Infine la terza nello smaltimento delle navi e delle relative attrezzature usate dagli scafisti, con l'intento di fermare i trafficanti.

L'operazione Sophia è ufficialmente terminata nel marzo del 2020, dopo che nel consiglio europeo del mese precedente si era deciso di non concedere ulteriori proroghe. Al suo opposto è stata varata una nuova missione, denominata Irini, con il compito però maggiormente orientato al rispetto dell'embargo sulle armi nei confronti della Libia.

Perché Meloni e Piantedosi hanno rimarcato l'importanza della “fase tre”

Lo stop a Sophia è stato anche determinato dalle critiche piovute nei confronti della missione. Critiche arrivate sia dall'Italia che dal resto d'Europa. In particolare, le operazioni delle navi militari sono state viste come un pull factor per i trafficanti, vale a dire un fattore di attrazione per la partenza di migranti. Detto in altri termini, sapendo della presenza di mezzi militari nel Mediterraneo molti trafficanti hanno fatto partire più barconi dalle coste libiche e tunisine.

Un concetto quest'ultimo rimarcato nelle scorse ore da Matteo Piantedosi. Il quale, assieme a Giorgia Meloni, ha parlato dell'importanza di riattivare la missione Sophia a una condizione: attivare anche la fase tre. Quella cioè relativa alla lotta contro i trafficanti. "Il blocco navale potrebbe rientrare nell'Agenda Meloni - ha dichiarato su RadioUno il titolare del Viminale - così come ha spiegato il premier, se si completasse la missione Sophia che, fermandosi a degli step intermedi, fece da pull factor, ebbe solo l'esito di portare qui 44mila migranti in più raccolti dalle nostre navi militari".

"La terza fase della missione - ha quindi spiegato Piantedosi - prevedeva la possibilità, in accordo con Paesi come la Tunisia, di dispositivi congiunti per la restituzione delle persone che partono e questo sarebbe la piena realizzazione del blocco navale". Dunque, secondo l'attuale esecutivo il "peccato originale" della missione Sophia ha riguardato l'incapacità di attuare la terza fase dell'intervento per limitarsi unicamente alle prime due. Attuando invece per intero gli obiettivi dell'operazione, secondo Meloni e Piantedosi si arriverebbe sia a una seria azione di contrasto dei trafficanti che all'applicazione di un vero e proprio blocco navale.

Le incognite

L'idea di un blocco navale non rappresenta certo una novità nell'agenda politica di Giorgia Meloni. Un proposito però parzialmente accantonato perché di difficile attuazione, sia a livello pratico che sotto il profilo del diritto internazionale. L'avvento di una rinnovata missione Sophia potrebbe rappresentare un modo più semplice per raggiungere il risultato. Ma non mancano le incognite.

La prima è stata implicitamente ammessa dallo stesso Piantedosi: per attuare la fase tre dell'operazione, servirebbe l'accordo con la Tunisia. Un Paese però in bilico, in cui il presidente Kais Saied ha più volte fatto intuire di non voler indietro i migranti, non solo tunisini ma anche (e forse) soprattutto di origine sub sahariana. È stato lui stesso nei mesi scorsi a parlare di "pericolo" derivante dalla presenza di molti migranti nel Paese, un pericolo sia di sicurezza che identirario. Stringere un accordo con Tunisi, oggi gravata anche da una pesante crisi economica, è difficile ed è altrettanto complicato farlo rispettare.

L'altra incognita riguarda i tempi. Nel 2015 la missione è stata varata nel giro di un mese ma soltanto perché in Europa c'era unanimità o quasi per la sua attuazione. La volontà politica dei 27 oggi è ancora tutta da verificare.

In tal modo, i tempi rischiano di dilatarsi al pari dell'emergenza che cresce in Italia giorno dopo giorno.

Commenti