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Altri guai per la Procura di Milano. Brescia indaga sul caso Padalino

Accusata di avere violato una sfilza di regole nel corso del processo Eni, ora la Procura di Milano si trova nuovamente al centro di un'altra inchiesta

Altri guai per la Procura di Milano. Brescia indaga sul caso Padalino

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Accusata di avere violato una sfilza di regole nel corso del processo Eni, ora la Procura di Milano si trova nuovamente al centro di un'altra inchiesta che ruota proprio intorno al tema cruciale dei comportamenti dei pubblici ministeri nella fase delle indagini e dei processi; insieme alla Procura del capoluogo lombardo l'indagine chiama in causa anche quella di Torino. Un fascicolo di indagine è stato aperto nei giorni scorsi dalla procura di Brescia, competente per i reati commessi dalle toghe milanesi, e già impegnata nei processi a carico di nomi importanti come il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e l'ex pm Piercamillo Davigo.

Il fascicolo è attualmente rubricato nel registro del cosiddetto «modello 45», quello utilizzato per le inchieste esplorative prima di decidere se procedere a incriminazioni formali. Una serie di accertamenti sono già partiti. Se si dovesse arrivare a iscrizioni nel registro degli indagati sarebbero iscrizioni pesanti, perchè riguarderebbero personaggi di spicco nella gestione attuale o recente delle procure di Milano e Torino.

Stavolta nella parte della vittima c'è un altro magistrato, anche lui per anni in servizio a Milano: Andrea Padalino, che fu negli anni Novanta il giudice preliminare dell'operazione Mani Pulite, prima di diventare pm e trasferirsi prima in Calabria poi a Torino. Padalino nell'aprile scorso ha depositato un esposto-denuncia nei confronti di una sfilza di suoi colleghi di entrambe le Procure per abuso d'ufficio e omissione di atti d'ufficio. Entrambi i reati sarebbero stati commessi nel corso delle indagini cui lo stesso Padalino è stato sottoposto da parte dei suoi colleghi, e che hanno portato al suo rinvio a giudizio. Esito: assoluzione con formula piena in primo grado, e in appello la Procura generale che si spinge a ritirare il ricorso presentato dalla procura di Milano perchè manifestamente infondato. «Solo adesso ho capito di cosa sono capaci certi miei colleghi», ha detto Padalino.

Secondo l'esposto la Procura di Torino avrebbe aggirato, con la complicità di quella di Milano, la norma che vieta a un ufficio giudiziario di indagare su un suo componente, e avrebbe tenuto nascosti elementi di innocenza di cui era in possesso.

Dopo che la posizione di Padalino era stata inviata a Milano, le indagini a suo carico avrebbe in realtà continuato a svolgerle Torino con la sua polizia giudiziaria, e Milano si sarebbe limitata a recepirle e tradurle in prove a carico.

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