Guerra in Ucraina

Avanti coi colloqui tra Mosca e Kiev. L'Ue cerca la tregua "Putin non vuole fermare la guerra"

Ieri nuovi negoziati in remoto Bruxelles non sembra crederci. Macron dopo la telefonata con Scholz e lo Zar: "Sanzioni più pesanti"

Avanti coi colloqui tra Mosca e Kiev. L'Ue cerca la tregua "Putin non vuole fermare la guerra"

Vladimir Putin è come quei pokeristi contro cui è snervante giocare. Lo fa con la pistola vicina al bicchiere di whisky e tra bluff, rilanci sconsiderati, temporeggiamenti, intimidazioni, atteggiamenti arroganti non sai mai se ti basterà la scala reale che hai in mano per vincere, anche perché l'altro alla peggio potrebbe sempre ribaltare il tavolo. Ieri a Emmanuel Macron e Olaf Scholz, che nel corso dell'ennesima telefonata lo pressavano per una tregua, per lo stop all'«umanamente insostenibile» assedio di Mariupol e «l'inizio di una soluzione diplomatica del conflitto», ha sfacciatamente risposto accusando le forze di Kiev di «flagranti violazioni» del diritto internazionale umanitario nel conflitto in corso e chiesto ai due leader di Francia e Germania di «esercitare la loro influenza» sulle autorità locali perché vi pongano fine. Immaginiamo l'espressione di Macron e Scholz quando hanno sentito Putin annunciare che avrebbe spiegato loro «la vera situazione umanitaria nelle area dell'operazione militare speciale per proteggere il Donbass». Le forze di Kiev sarebbe colpevole di «esecuzioni extragiudiziali di dissidenti, presa di ostaggi e uso di civili come scudi umani, armi pesanti collocate in aree residenziali, vicino a ospedali, scuole, asili e così via».

Insomma, settantacinque minuti di una conversazione che ha avuto a tratti il senso di un delirio. Mai un'ammissione, mai un accenno di resipiscenza da parte del satrapo di San Pietroburgo. Al punto che alla fine della telefonata, l'Eliseo ha riferito che Putin «non ha dato alcun segnale della volontà di sospendere la guerra» e ha dato mostra di essere «molto determinato a raggiungere i suoi obiettivi». L'unica differenza con i precedenti e altrettanto frustranti colloqui è stato il fatto che Putin «non ha usato il termine denazificazione elencando gli obiettivi russi in Ucraina. Il termine si è fatto più raro negli ultimi contatti». Ma questo cosa significhi non è chiarissimo, di certo non molto. La conclusione che arriva da Parigi non può che essere spietata: «Noi ne traiamo una conseguenza: Putin deve prendere atto di sanzioni ancora più pesanti». Lo stesso avvilimento di cui ha dato prova qualche ora dopo Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri ucraino: «Stiamo parlando, ma la Russia continua a presentare richieste che sono per noi inaccettabili. Non faremo nessun compromesso su questioni che investono l'esistenza dell'Ucraina».

Già, perché Mosca e Kiev continunano comunque a parlare. Lo Zar da qualche giorno, anche a causa del fatto che l'offensiva militare si è impantanata, mostra una maggiore disponibilità al dialogo, cosa che fa notare anche il presidente ucraino Volodymyr Zelenski, secondo cui Mosca ha un po' cambiato atteggiamento. E ieri pomeriggio, un po' a sorpresa, si è svolto un nuovo round di negoziati tra una delegazione ucraina e una russa guidata ancora dal consigliere del Cremlino Vladimir Medinsky. Un negoziato che ha mantenuto, da remoto, il format di Bialowieza, la foresta al confine tra Bielorussia e Polonia dove si erano tenuti il secondo e terzo round di incontri in presenza, e che come i precedenti negoziati sembra avvalorare la diffidenza dell'Occidente. Poche notizie, risultati anche meno.

Ieri è stata anche la giornata in cui i media israeliani hanno diffuso la notizia che il premier israeliano Naftali Bennett avesse nel corso di una telefonata consigliato a Zelensky di arrendersi alle richieste russe. Una voce smentita sia dall'entourage di Bennett sia da Kiev. «Israele - ha scritto il consigliere Mykhailo Podolyak su Twitter - proprio come altri paesi intermediari, NON offre all'Ucraina di accettare qualsiasi richiesta della Federazione Russa. Questo è impossibile per ragioni militari e politiche».

Le parole sibilano come i proiettili, ma la guerra continua.

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