Carcere fino a due anni per i debiti non saldati. Oggi la bozza al pre-Cdm

Dalle auto ai consumi, quella rete di controlli per stanare gli evasori

Carcere fino a due anni per i debiti non saldati. Oggi la bozza al pre-Cdm
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Carcere da sei mesi a due anni per i debiti non saldati. È quanto emerge dalla bozza del nuovo decreto delegato della riforma fiscale. Non è l'unica novità. Il governo fa marcia indietro sul redditometro. «Noi siamo sempre stati contrari a meccanismi invasivi come il redditometro, applicati a persone oneste e la nostra posizione non è cambiata», ha detto ieri Giorgia Meloni.

In attesa di capire come verrà modificato il decreto, oggi cosa finisce sotto la lente del redditometro e cosa fa scattare i controlli? In pratica l'Agenzia delle Entrate può verificare discrepanze tra il reddito reale e quello dichiarato da un contribuente analizzando la sua capacità di spesa, quindi il tenore di vita sostenuto: se è così elevato da essere incompatibile con il reddito dichiarato al fisco, e se il divario supera il 20% scatta l'avviso di accertamento. Questo strumento non è una novità, infatti il Fisco lo ha in dotazione da quasi 50 anni, anno di nascita 1973, ma così come lo conosciamo fu introdotto dall'ultimo governo guidato da Berlusconi, nel 2010.

Successivamente, nel 2015 il governo Renzi decise di eliminare lo strumento delle medie Istat. Nel 2018 l'esecutivo gialloverde guidato da Giuseppe Conte aveva congelato lo strumento con il Dl Dignità, cancellandone il decreto attuativo del 2015 e rimandando a un altro decreto la riformulazione del calcolo del reddito presunto. Riformulazione mai arrivata in questi sette anni, fino appunto al decreto di Leo. Quest'ultima versione doveva essere applicata dall'anno di imposta 2016 - ma i redditi analizzati dovevano essere quelli a partire dal 2018 - facendo riferimento alla «spesa minima presunta rappresentativa del valore d'uso del bene o del servizio considerato». Le spese, «distinte per gruppi e categorie di consumi del nucleo familiare di appartenenza del contribuente, sono desunte dall'indagine annuale sulle spese delle famiglie» dell'Istat. Sotto la lente di ingrandimento sarebbe finita una lunga lista dagli alimentari, bevande, abbigliamento e calzature, passando dai mutui, affitti e fitti figurativi, leasing. Nella lista era prevista anche l'acqua, consumi di energia elettrica, gas, riscaldamento, acquisto di elettrodomestici e tante altre voci di uso comune e quotidiano.

L'agenzia delle Entrate avrebbe sommato tutte le spese del contribuente e dei famigliari a carico, gli incrementi patrimoniali, la quota di risparmio: se l'ammontare superava il 20% del reddito dichiarato scatta l'accertamento. Bisognava dimostrare come si è entrati in possesso di una somma maggiore - per esempio, un'eredità - o bisognerà poi procedere al pagamento di nuove tasse.

«Il decreto ministeriale pubblicato in questi giorni in Gazzetta mette finalmente dei limiti al potere discrezionale dell'Amministrazione finanziaria di attuare l'accertamento sintetico, ovvero la possibilità del Fisco di contestare al contribuente incongruenze fra acquisti, tenore di vita e reddito dichiarato.

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