
Ma certo che esiste una logica di rappresaglia della magistratura contro la politica, è persino ovvio che, peggio ancora, la magistratura sta cercando disordinatamente di riposizionarsi e di ergersi a gendarme dei modelli di sviluppo che la politica persegue. Bisogna piantarla di vedere la magistratura solo come un mezzo per delegittimare l'altra parte politica, e, inchiesta dopo inchiesta, per cercare solo di predare dei bottini elettorali che non ci sono neanche più: in Liguria il trasversalismo magistrati/sinistra/giornali ha decapitato un "sistema" di progetto infrastrutturale che tuttavia è stato riaffermato come se nulla fosse successo; a Milano, ora, lo stesso "grillismo culturale" sta cercando di decapitare una giunta e il suo sviluppo urbanistico (politicamente trasversale) e non sarà certo la giurisprudenza creativa della procura meneghina a portare il centrodestra alla guida della locomotiva d'Italia; questo mentre, in tutto il Paese, le più varie inchieste sui tentativi governativi di frenare l'immigrazione illegale sono talmente smaccate e tanto faziose da spiegare perché il Governo non sta perdendo un consenso che sia uno: l'elettorato, semmai, sembra convincersi che il successo delle politiche migratorie non dipenda dalla loro efficacia bensì dal boicottaggio della magistratura: non certo dell'opposizione. Ma non è questo il punto, come detto: il punto è che la Magistratura (a mezzo dell'interpretazione di legge, che è cosa diversa dalla sua mera applicazione) di fatto è intervenuta sulle infrastrutture a Genova, sull'urbanistica a Milano e sull'immigrazione irregolare in tutto il Paese: questo senza citare la sua eventuale reattività al primo serio tentativo di riformarla dal Dopoguerra.
Bisogna essere ciechi per non vederlo: c'è una magistratura, parte di essa, che non è più né di destra né di sinistra anche se mantiene un'impronta ideologica incrostata dal secolo scorso; un peso senza contrappesi che sta solo con se stesso, e che si pone come camera di compensazione non elettiva per gli indirizzi politici, economici ed etici. Non si presenta alle elezioni, ma cerca di condizionare chi possa vincerle; non partecipa al dibattito politico, ma ne delimita il perimetro; non scrive i programmi di governo, ma stabilisce quali siano attuabili. È un potere che non cambia casacca perché ha sempre indossato la toga, ergo può cambiare pelle secondo stagione irridendo la formuletta sacrale genere "la magistratura applica soltanto la legge" che è stata appena ridicolmente ripetuta dall'imbambolata Associazione nazionale magistrati: come se servisse uno storico del diritto per ricordare che l'applicazione neutra della legge è una finzione e che la magistratura non la applica soltanto, bensì la interpreta, la piega, la distende secondo epoche e climi diversi e secondo ciò che ritiene la società si aspetti, o è essa stessa ad aspettarsi. Ieri c'era Mani pulite e le forzature in nome della moralità, oggi una vigilanza sistemica che stiracchia le norme e prescinde dalla volontà di chi le ha scritte.
Ecco dunque l'importanza politica del gesto di Giorgia Meloni a difesa di Giuseppe Sala, poco tempo fa: un ribadire che un avviso di garanzia non può decapitare una giunta e che la recettività della volontà popolare spetta alla politica; non spetta quindi, a un discrimine tra destra e sinistra, o tra governo e opposizione, spetta a chi difende il primato della politica rispetto a chi invece lo contesta in nome di una rinnovata moralità giudiziaria che si fa legge da sola.
I sondaggi non mentono, e la Magistratura, per proprie e censite colpe, non è più tanto popolare: ora ha fiutato il disincanto generale e si sta istallando come potere regolatore dei modelli di sviluppo, come un'autorità etica che limita le possibilità del lecito prima ancora di reprimere reati, un'entità che ammonisce, dissuade, rallenta, fornisce dei lasciapassare. È avvilente leggere che il presidente del tribunale di Milano abbia invocato dei protocolli e dei tavoli d'intesa dove politici, costruttori e magistrati possano accordarsi, ed è ancora più avvilente leggere che il sindaco Sala, a ruota e sempre a mezzo stampa, abbia candidamente annuito e confermato che sì, certo, ogni accordo finale "deve essere siglato dalla Procura", testuale.
Al capitale serve il timbro giudiziario, come no. A Genova come a Milano non c'erano tangenti o soldi in nero, ma consulenze, fondazioni, bonifici tracciati, il tutto evocato malignamente a "sistema": come se la politica non fosse, da sempre e legittimamente, un sistema. Così pure, tra Roma e Tirana, i tribunali smontano qualsiasi iniziativa sul fronte immigrazione: i centri in Albania sono ostacolati, i rimpatri si incagliano tra ricorsi e sospensive, ogni provvedimento restrittivo è soggetto al controllo di qualità della Magistratura, e sulla base di quale violazione è quasi secondario. Più che un controllo di legalità, ormai, sembra una Cassazione dell'attività politica, una perenne ridefinizione del lecito, un codice di procedura usato come articolo di fondo, una Mani pulite senza mazzette ma con le stesse tonalità (questa volta) autoreferenziali.
Prendersela con un governo di destra, o con una città non abbastanza di sinistra, in fondo non è neppure così difficile: ma se domani, per esempio, la magistratura cominciasse a mettere in discussione anche le regole della finanza, dei trasporti, della concorrenza, della libertà di stampa, chi potrebbe davvero impedirglielo?