
«Che improvvisamente si scopra che si devono spendere valangate di miliardi facendo debiti per la difesa è singolare, visto che la guerra in Ucraina c'è da tre anni». Con queste parole, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha aperto il suo intervento durante il convegno Tutta un'altra economia: la sfida del valore. Una riflessione critica sulle spese militari, nel contesto dell'iniziativa della Commissione Ue ReArm Europe, che prevede investimenti ingenti nella difesa.
Sugli 800 miliardi destinati al progetto il ministro ha espresso perplessità. «Solo un titolo che, per il momento, non abbiamo ancora capito come si dovrebbero concretizzare: quando si fanno delle spese bisogna sempre pensarci su e quando si fanno spese per le armi bisogna pensarci su due volte», ha sottolineato.
Il ministro ha poi rimarcato le difficoltà del bilancio pubblico italiano. «Non è possibile che noi, che stiamo facendo una fatica tremenda per ridurre il fardello enorme del nostro debito, che siamo limitati rispetto a fare delle cose fondamentali per il popolo italiano, adesso troviamo 10-20-30 miliardi per finanziare le armi», ha rimarcato. A questo proposito il titolare del Tesoro ha ribadito che le regole del nuovo Patto di stabilità «non funzionano, non possono funzionare». Non a caso adesso che «la Germania deve riarmarsi e naturalmente, il debito non è un problema e nessuno ha dovuto negoziare nulla» a Bruxelles. Tuttavia, il ministro ha aperto alla possibilità di investimenti mirati nel settore. «Se dobbiamo spendere, che si spenda nell'industria italiana, nelle imprese italiane, creando occupazione e lavoro qua», ha dichiarato riprendendo le parole del suo leader Matteo Salvini (« Il riarmo dell'Europa e l'esercito comune sono scuse per arricchire aziende tedesche e francesi»). Nel corso del suo intervento, Giorgetti ha anche smentito le voci su presunte tensioni con la premier Giorgia Meloni. «Avrei litigato sulle spese per la difesa. Naturalmente son tutte balle, ma fa niente».
Il numero uno di Via XX Settembre ha poi affrontato il tema della regolamentazione europea. «Noi siamo iper-regolati, mentre in altre parti del mondo non c'è regolamentazione, di nessun tipo e non è possibile competere ad armi pari», ha precisato rimarcando come «per una serie di circostanze esterne, ci siamo resi conto che questa regolamentazione è un gran casino». Il discorso si è poi spostato sulle politiche commerciali globali e sui dazi. Giorgetti ha commentato la minaccia commerciale di Donald Trump . «Vuole mettere i dazi perché lui pensa che in questo modo difende i giusti diritti delle imprese americane», ha affermato aggiungendo che «è l'occasione buona per discutere di come difendere i giusti diritti delle imprese italiane, anche delle migliaia di imprenditori che hanno dovuto chiudere per la concorrenza sleale che arrivava dalla Cina».
A concludere l'evento è stato il vicepremier Matteo Salvini, che ha ribadito la linea della Lega sui temi economici e commerciali. «Trump minaccia dei dazi, ma gli unici dazi veri, reali, che da anni azzoppano l'impresa italiana, non li ha messi Washington ma Bruxelles con regole idiote» sulle auto, ha dichiarato il leader leghista. Di qui l'importanza di rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. «Trump è un personaggio complesso che non segue la scuola diplomatica franco-tedesca», ha proseguito enfatizzando il fatto che «per 4 anni governerà la potenza più importante del mondo», quindi «è da cretini litigare con il presidente Usa, è autolesionismo». Salvini ha poi rilanciato la necessità di un protagonismo italiano nelle trattative. «Se queste buone carte ce le avesse Macron, aspetterebbe l'Europa unita o andrebbe negli Usa a difendere l'interesse nazionale francese? La Lega deve dare forza e coraggio a questo governo di andare a trattare direttamente con gli Usa». Proprio le dichiarazioni della scorsa settimana sul presidente francese (a cui aveva dato del «matto» per la sua posizione militarista) hanno sollevato tensioni diplomatiche.
L'ambasciatrice d'Italia a Parigi, Emanuela D'Alessandro, è stata ricevuta giovedì scorso al Quai d'Orsay. Non è stata una convocazione ufficiale, ma è stato fatto notare come le parole di Salvini fossero «in contraddizione con il Trattato del Quirinale».
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