Guerra in Ucraina

Kiev lancia il "messaggio" della difesa a oltranza

L'epopea di Mariupol serve a Zelensky per unire il Paese. Ma anche per impegnare l'esercito russo

Kiev lancia il "messaggio" della difesa a oltranza

Nell'eroismo di Mariupol, nella straordinaria tenacia dei suoi difensori anche di fronte alla certezza della sconfitta e della morte, c'è qualcosa che evidentemente disturba. Qualcosa che dispiace non solo agli ipocritissimi fautori della pace a tutti i costi (costi esorbitanti e pagati dagli ucraini, s'intende), quelli che non appoggiano la causa di Kiev perché la vedono vale per la sinistra nostalgica dell'Urss come per la destra fascistoide sovrapposta a quella degli odiati Stati Uniti. No, dispiace a volte anche a chi in quell'eroismo dovrebbe riconoscere la propria, di causa. Forse perché, in ultima analisi, gli irriducibili di Mariupol parlano alla nostra sopita coscienza di egoisti tranquilli sotto l'ombrello americano, la cui priorità rimane in realtà l'ombrellone: quello della prossima estate in spiaggia inscindibile dal famoso condizionatore a palla imprudentemente citato dal premier Draghi.

Insomma, che senso ha questa resistenza all'ultimo uomo e all'ultima cartuccia? Non avete capito che a Mariupol Vladimir Putin ha già vinto, che farà sfilare i suoi soldati sulle rovine della vostra città distrutta? E distrutta per cosa, se non per un orgoglio inutile? Se vi foste arresi subito sarebbe ancora in piedi! Arrendetevi una buona volta, e se proprio vorrete opporvi all'occupante russo potrete sempre farlo in altre forme dopo la sua vittoria! Questo pensano, tragicamente accomunati, gli ipocritissimi pacifisti di sinistra e di destra e gli irriducibili del condizionatore. Peccato che si sbaglino. Che non abbiano capito niente.

Proviamo a spiegare perché. La propaganda del regime putiniano vuole vendere la presa di Mariupol come un grande successo, da abbinare, entro il 9 maggio in cui la risorta Grande Russia celebrerà il trionfo su nazisti veri e falsi, a quello della conquista dell'intero Donbass. Quel giorno si sprecheranno teatralità e retorica, ma alle persone dotate di buon senso non si potrà nascondere la verità. E la verità è che in Ucraina Putin non aveva mandato un esercito di oltre 150mila uomini solo per prendere il Donbass: ci era andato per «denazificare e smilitarizzare», ovvero per impadronirsi della capitale Kiev, far fuori (letteralmente) il legittimo presidente Zelensky dipinto come nazista (lui ebreo!) e ridurre l'intera libera Ucraina a ciò che era ai «bei tempi» dell'Unione Sovietica: una provincia qualsiasi dell'impero moscovita. Questi erano gli sbandierati piani del cosiddetto zar. E questi piani sono a tutt'oggi miseramente falliti, anche se dal Cremlino ripetono che saranno tutti portati a compimento, per una sola vera ragione: perché alla faccia di Putin, dei suoi gerarchi e generali russi e dei suoi ammiratori più o meno espliciti occidentali e italiani, il popolo ucraino non solo esiste, ma resiste.

Così come Putin non ha ordinato di accanirsi su Mariupol per caso, Zelensky ha voluto una resistenza eroica per una ragione precisa. Propagandistica, se vogliamo. Vuol far capire che gli ucraini hanno coraggio da vendere, e che non si arrenderanno. Che anche nel ventunesimo secolo è meglio morire da liberi che vivere da schiavi. Che se anche Mariupol cadrà in mano al nemico, il resto dell'Ucraina prenderà esempio e continuerà a combattere. Insomma, ci dice Zelensky, anche da una sconfitta, purché onorevole, può nascere un messaggio positivo.

Messaggio che va integrato da una considerazione di carattere militare. Non è vero che la resistenza di Mariupol, circondata interamente da un nemico implacabile, sia insensata. Il prolungato sacrificio dei suoi ultimi difensori è servito sta servendo ancora! a impegnare il numero più alto possibile di militari russi, distogliendoli dal fronte principale.

Ogni ora guadagnata è preziosa, mentre sulla prima linea del Donbass l'esercito ucraino attende l'arrivo imminente di nuove armi dall'Occidente, quelle che pacifisti e vacanzieri vorrebbero che non arrivassero mai.

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