Cronaca nera

La famiglia Orlandi adesso ha fretta. "Un incontro con il pm vaticano Diddi"

Il fratello: "Nessuna comunicazione sull'apertura di indagini"

Pietro Orlandi
Pietro Orlandi

Si brinda alla riapertura delle indagini decisa dal promotore di giustizia vaticana per far luce sul caso di Emanuela Orlandi, ma di fatto non c'è alcun passo formale. O per lo meno non è stato comunicato all'avvocato dei familiari.

«Nonostante il tam tam mediatico, non ho ancora ricevuto alcuna comunicazione formale dal Vaticano - ha spiegato il legale Laura Sgrò - Proprio per questo ho preparato una istanza formale che presenterò in Vaticano in cui chiedo informazioni dettagliate sull'apertura di queste indagini e un incontro con il promotore di giustizia per avere uno scambio quanto prima». Nemmeno Pietro Orlandi, il fratello della giovane sparita nel nulla nel 1983, ha ricevuto alcuna convocazione. «Se questo è avvenuto su impulso di Papa Francesco, ben venga», ha però rilevato l'uomo, instancabile sostenitore del fatto che in Vaticano c'è chi conosce la verità.

«La nuova inchiesta, se fatta veramente con la volontà e l'onestà di fare chiarezza una volta per tutte e dare finalmente giustizia ad Emanuela, potrebbe durare pochissimo - scrive su Facebook -. Non sarebbe necessario fare lunghissime indagini perché la Verità già la conoscono, basta raccontarla. Altrimenti spero mi convochino prima possibile per poter verbalizzare». «Comunque non posso non essere contento e come sempre, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno e pensare positivo», aggiunge, dando appuntamento al sit-in convocato per sabato alle 16.30 a Castel Sant'Angelo, «per ricordare Emanuela e che noi non cederemo mai di un passo fino alla verità».

Bisognerà vedere ora quali accertamenti condurranno gli inquirenti vaticani, oltre a riaprire documenti dell'epoca, quali ulteriori verifiche, se soprattutto saranno acquisite nuove testimonianze di «persone informate dei fatti» alla ricerca di nuovi indizi e prove. Ipotizzabili anche rogatorie con l'Italia sugli atti dell'inchiesta della Procura romana, che comunque, va ricordato, fu archiviata nell'ottobre 2015 su richiesta dell'allora procuratore capo Giuseppe Pignatone, attuale presidente del tribunale vaticano. Proprio il predecessore di Pignatone alla procura di Roma, Giancarlo Capaldo, per un certo tempo titolare delle indagini, sottolinea che «finora il Vaticano aveva sempre negato di aver svolto indagini sulla vicenda di Emanuela e di avere competenza e interesse a svolgerne, essendo il fatto accaduto in territorio italiano». «Da parte mia non posso che essere felice di questo interesse del Vaticano» ha detto Capaldo parla d'una «vicenda che ha implicazioni molto profonde», con «delle reazioni di coloro che non vogliono che si trovi la verità». E anche di «una serie numerosa di depistaggi messi in opera anche con consapevolezza al fine di distrarre l'attenzione dagli sforzi dei giudici e della polizia per rintracciare la verità». Sulla vicenda è tornato a parlare ieri anche Alì Agca, l'attentatore di Giovanni Paolo II. «Da 40 anni il Vaticano subisce una gravissima campagna di calunnia di aver stuprato e ucciso Emanuela - dice -. Invece lei non ha mai subito nessuna violenza e fu trattata sempre umanamente.

Sono disposto a fare delle rivelazioni con delle prove documentali indiscutibili sia davanti la magistratura vaticana sia davanti una eventuale commissione di inchiesta del parlamento italiano».

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