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I 20 anni del Festival che ha fatto conoscere il whisky agli italiani: "Moda? No, passione"

Il primo evento italiano dedicato al re dei distillati nasceva nel 2006 a Milano. Oggi resiste alla crisi

I 20 anni del Festival che ha fatto conoscere il whisky agli italiani: "Moda? No, passione"
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Prima del Dogui, il cumenda che in Vacanze di Natale consegna alla storia del costume e del cinema il comandamento per cui "sole, whisky e sei in pole position", Milano era già la capitale del distillato di malto. Perché prima della Milano da bere, prima dell'edonismo anni '80, della Gintoneria e dei privé con calciatori e influencer, all'ombra della Madonnina già si beveva single malt e la capitale morale era anche capitale superalcolica.

Il rapporto viscerale fra il capoluogo lombardo e il nettare celtico che sgorga dagli alambicchi ha radici antiche, che affondano a fine anni '60, quando una generazione di pionieri - D'Ambrosio, Mainardi, Giaccone, Samaroli - iniziò a importare, selezionare e vendere single malt whisky eccezionali, qualcosa che i palati abituati al brandy, alla grappa o al facile blended whisky non avevano mai provato. Da lì in poi, prima intorno al mitico Bar Metro e poi a macchia d'olio in tutta la città, il re degli spiriti ha irrigato la conversazione alle tavole e nei salotti; da quelli buonissimi della politica, dell'imprenditoria e dello spettacolo, fino a quelli pessimi della malavita targata Turatello e Vallanzasca.

Da vent'anni, i sacerdoti ufficiali del rito meneghino del whisky sono due milanesi doc, Andrea Giannone e Giuseppe Gervasio Dolci, che nel 2006 si sono inventati quello che sarebbe poi diventato il principale evento italiano del settore: quel Milano Whisky Festival che è anche l'unica kermesse di respiro internazionale a tenersi in Italia e che il prossimo weekend giunge alla sua ventesima edizione. Un traguardo inizialmente impensabile, che è anche occasione di bilanci, amarcord e previsioni.

"La prima edizione era praticamente una rumorosa assemblea condominiale - raccontano tra il divertito e il nostalgico Andrea e Giuseppe -, c'erano 330 partecipanti". Un drappello comunque più nutrito degli spartani alle Termopili, ma per fortuna con un destino più roseo. Pian piano, a forza di degustazioni e corsi, di imbottigliamenti e serate organizzate nella nebbia, la comunità di appassionati si è andata ingrossando e si è coagulata intorno al Festival. Il movimento è cresciuto costantemente (quasi 5mila visitatori nell'edizione dei record del 2023), rendendo l'appuntamento annuale all'Hotel Marriott, sede del Festival fino al 2019, il centro di gravità permanente dei whiskofili italiani. E non solo.

"Nel nostro piccolo, a Milano abbiamo portato il gotha del whisky scozzese. Da Billy Walker a Jim McEwan, da Stuart Laing a Mark Watt e Frank McHardy. E di questo dobbiamo ringraziare gli amici importatori e distributori che fin da subito hanno creduto nelle potenzialità del Festival: Franco Gasparri, Fabio Ermoli e i compianti Marcello Barberis e Maurizio Cagnolati". Già perché il whisky a Milano è sempre stato per prima cosa questione di amicizia, conoscenza e passione, e forse è questo il segreto che ha consentito al Festival di resistere nel tempo: "Quando abbiamo iniziato, il whisky era un chiodo fisso per una ristretta cerchia di patiti, una cosa da nerd. Poi è diventato una moda e intorno al 2018 è esploso il business. Da allora abbiamo visto nascere e morire manifestazioni, etichette di imbottigliatori indipendenti, blog... Oggi che i consumi sono in calo, possiamo ricominciare a parlare di passione e non di trend".

In effetti, il whisky negli ultimi 15 anni ha vissuto sulle montagne russe, complice il boom nell'Estremo Oriente che ha fatto esplodere il consumo e i prezzi. Oggi la "febbre" è però passata, e il settore fa i conti con qualche problema: "Non c'è dubbio che la crisi economica pesi, si spende meno per i consumi voluttuari. E i prezzi alti hanno frenato il ricambio generazionale a cui anche noi lavoravamo: fin dall'inizio abbiamo cercato di svecchiare l'idea del whisky come bevanda da anziani benestanti col vestito di tweed e i baffi, ma oggi con 50 euro fatichi a prendere una buona bottiglia e questo è un muro di accesso invalicabile per molti ragazzi. Negli ultimi due anni l'età media si è alzata". Se si aggiunge il giro di vite del codice della strada e il fallimento della mixology a base whisky, stracciata dal gin per esempio, beh, il quadro non è dei più rosei.

"Ma noi rimaniamo ottimisti - concludono Andrea e Giuseppe -. Organizzare un evento del genere è sempre più complesso, sia per i costi, sia perché il mondo cambia di continuo e i brand si adeguano alla comunicazione, alle nuove strategie. Per esempio, sempre più social media, sempre più distillerie italiane, che quest'anno saranno quasi tutte presenti al Festival.

Non diventeremo mai una nazione di forti bevitori di whisky, perché spenderemo sempre più volentieri 200 euro per un paio di scarpe piuttosto che per una bottiglia, ma continueremo a divertirci come facciamo da vent'anni".

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