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"Io nel tritacarne, non mi dimetto. Critiche di parte e strumentali"

Il consigliere di Valditara: "Lascio soltanto se me lo chiede lui"

"Io nel tritacarne, non mi dimetto. Critiche di parte e strumentali"

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"Io nel tritacarne, non mi dimetto. Critiche di parte e strumentali"

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«Ebbene sì, sono finito anch'io nel tritacarne mediatico». Lo psicologo Alessandro Amadori, consulente del ministro Valditara, interviene sulle polemiche suscitate da alcune frasi presenti nel libro La guerra dei sessi. «C'è stata una lettura parziale e un po' strumentale delle tesi del mio libro, ma se questa lettura aiuta a ragionare su come aiutare il mondo allora ben venga anche questo tipo di lettura», spiega l'esperto che assicura: «Se non c'è una richiesta del ministro, non mi dimetto».

Qual è la giusta interpretazione del suo libro?

«Il libro parla dell'elevata conflittualità tra i generi che dipende da due cause. La prima è che l'immaginario maschile non si è evoluto ed è necessario fare un atto di denuncia sul fatto che gli uomini non hanno saputo evolvere: non hanno fatto ciò che è riuscito alle donne col movimento femminista. La seconda causa è che il potere, a livello planetario, si sta spostando sempre più verso le donne. Questo doppio meccanismo mette in crisi una minoranza di uomini meno evoluti dal punto di vista psicologico e la loro risposta è la violenza di genere, un'emergenza che va affrontata subito. Parallelamente, però, per un principio di azione e reazione, si stanno irrigidendo anche le posizioni di una parte dell'immaginario femminile. Anzitutto, esiste anche un'aggressività femminile che è più psicologica e di lungo periodo, mentre quella maschile è più esplosiva e fisica. L'aggressività, dunque, è un problema del genere umano».

Cosa intendeva dire quando ha scritto che le donne sanno essere più cattive degli uomini?

«Intendevo dire che esiste una semplificazione narrativa per cui le donne sono sempre buone e gli uomini sono un po' tutti potenzialmente cattivi. Per colpa degli uomini che hanno saputo crescere si sta sempre di più diffondendo una sorta di inquietudine a essere maschi. C'è una porzione importante, ma limitata della popolazione maschile che manifesta comportamenti arcaici da condannare senza condizioni e si sta, dunque, diffondendo l'equazione psicologica per cui essere maschi è un problema. Le donne, invece, sono più evolute, ma anche loro hanno i loro limiti e le loro forme di aggressività. Il rischio è che essere maschi diventi una colpa inconscia, mentre di per sé non è negativo, ma gli uomini devono fare un'evoluzione culturale. Chiedere scusa non basta e non può diventare un mantra».

Questa situazione è tutta colpa del patriarcato?

«La causa di questo meccanismo è una difficoltà tutta maschile a elaborare le emozioni, ma è inutile dire aboliamo il patriarcato perché questo è solo un pezzettino del problema. È più importante che noi maschi ci fermiamo e ragioniamo su noi stessi per capire perché alcuni di noi distruggono le vite degli altri.

Lo stesso patriarcato nasce da un minor capacità maschile di elaborare le emozioni».

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