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Ira Meloni sul video di Fidanza "È una polpetta avvelenata"

La leader Fdi passa al contrattacco. Il leghista Bastoni: "Quel giornalista ha provato ad avvicinare anche me"

Ira Meloni sul video di Fidanza "È una polpetta avvelenata"

Una lotta più dura dello Stato contro la mafia e anche contro gli scafisti. Ma anche ovviamente la reazione all'inchiesta prima giornalistica e poi giudiziaria che ha messo nel mirino l'europarlamentare di Fdi Carlo Fidanza e la candidata a Milano Chiara Valcepina. Arriva dalla Sicilia dove si vota il prossimo fine settimana e dunque ieri non c'era silenzio elettorale, la controffensiva di Giorgia Meloni alle accuse di neonazismo e finanziamenti in nero. «Tre anni di giornalista infiltrato - le sue parole - per mandare 10 minuti di video nell'ultimo giorno di campagna elettorale per fare sì che stesse sulle prime pagine nel giorno di silenzio elettorale è una polpetta avvelenata e in uno stato di diritto non accadrebbe». Di qui il rinnovo della richiesta al direttore di Fanpage di «fornirmi le 100 ore di girato perché mi interessa sapere come si comportano anche i miei dirigenti». Ma, aggiunge, «ho abbastanza esperienza per sapere che non mi posso fidare ciecamente di ciò che viene tagliato e cucito su un video di 10 minuti». E ad aggiungere altri particolari interessanti, la rivelazione di un consigliere di Regione Lombardia della Lega, oggi candidato anche al Comune di Milano, che racconta di essere stato avvicinato dallo stesso giornalista. «Salvatore Garzillo - racconta Massimiliano Bastoni - ha avvicinato anche me spacciandosi per lobbista e promettendo finanziamenti illeciti per la mia campagna elettorale: ma gli ho risposto che faccio tutto in regola e che non vendo i miei ideali. Ho registrato tutto e sono a disposizione della Procura di Milano». E su quello che è già andato in onda, assicura di non voler «entrare nel merito anche se mi pare strumentale e finalizzato a portare acqua al mulino di Beppe Sala. Mi pare propaganda spacciata per scoop giornalistico». A completare il quadro, l'uscita di ieri di un altro protagonista dell'affaire. Quel Roberto Jonghi Lavarini che ieri ha inviato via media un messaggio per nulla cifrato. «Sono assolutamente indipendente e apartitico, ma nessuno faccia finta di non conoscermi. O, peggio, si permetta di offendere gratuitamente me e la comunità di veri patrioti che, mio malgrado, in questo frangente ho l'onore e l'onere di rappresentare», ha postato ieri su Instagram di fianco alle foto con Meloni e di Matteo Salvini e millantando ancora una volta che «il 5 per centro di voti della destra radicale fa gola a tutti ed è indispensabile per vincere qualunque sfida bipolare, nei Comuni e nelle Regioni, come alle elezioni politiche». Cifre che fanno ridere chiunque abbia una anche minima conoscenza di quel mondo, ma che hanno offerto la sponda a tanta informazione così occupata in questi giorni a rifornire di melma il ventilatore, per ripubblicare quelle immagini a fianco delle sue deliranti affermazioni.

E magari sorvolare su una Meloni che ha denunciato una brutta campagna elettorale con «una sinistra molto debole e molto aggressiva che si è inventata di tutto e di più... Sente il potere che scivola via e diventano come quegli animali feriti che diventano molto aggressivi e cattivi: dicono che siamo noi quelli che istigano all'odio, ma non è così. Non troverete nessuno di destra a mettere libri a testa in giù (come è successo con il suo Io sono Giorgia, ndr) o agisca con cattiveria e istigazione all'odio.

Noi abbiamo la forza delle nostre idee, loro non hanno più un'identità».

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