
Sì agli aiuti militari, no all'invio di truppe. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni mantiene ferma la linea del sostegno all'Ucraina, senza però esporre i contingenti italiani a un coinvolgimento diretto nel conflitto.
Meloni respinge l'accelerazione della coppia Macron-Starmer che vorrebbero autorizzare l'invio di militari sul fronte ucraino. La decisione della premier di non partecipare in presenza al tavolo dei «volenterosi», che si è riunito ieri a Kiev, non è legata a «questioni di agenda». Ma da Palazzo Chigi fanno filtrare che si tratta (ancora una volta) di una «decisione politica», per rimarcare una linea autonoma del governo italiano rispetto ai volenterosi appiattiti sulle posizioni del presidente francese Emmanuel Macron.
Da Palazzo Chigi fanno notare inoltre che «non è la prima volta che Meloni si collega al vertice dei volenterosi, semmai la partecipazione in presenza sarebbe stata la vera novità». La posizione della premier Meloni, più volte ribadita, è di non avallare la linea macroniana sull'invio delle truppe europee in Ucraina.
Ecco, dunque, che le ragioni sull'assenza del capo dell'esecutivo al vertice ucraino si delineano: il gruppo di Stati europei che si sono riuniti a Kiev è quello della proposta dell'invio di truppe in Ucraina anche fuori dal cappello Onu o dalle missioni di «peacekeeping». L'Italia ha già detto di non essere d'accordo e di proporre invece garanzie di sicurezza più solide (e meno azzardate) e nello specifico l'applicazione di un modello tipo articolo 5 Nato, anche senza l'ingresso dell'Ucraina nell'Alleanza atlantica. La presenza italiana non sarebbe stata coerente con la posizione assunta in questi mesi. E soprattutto, partecipando al vertice in presenza, in caso di decisione sull'invio di truppe Meloni sarebbe stata costretta a smarcarsi, facendo emergere la spaccatura nel fronte europeo. Sarebbe potuto diventare un clamoroso assist per Mosca insomma.
Con l'«assenza in presenza», Meloni avrebbe tutelato l'unità europea. Sono queste le riflessioni che hanno spinto la presidente del Consiglio a confermare la partecipazione solo in videoconferenza al vertice. Ma soprattutto a Palazzo Chigi fanno notare l'ipocrisia della sinistra che attacca: «Meloni è per il no all'invio delle truppe in Ucraina, Schlein è favorevole? Lo dica».
A Kiev sono arrivati i leader i leader di Regno Unito, Francia, Germania e Polonia. L'incontro giunge all'indomani della parata militare organizzata da Vladimir Putin sulla Piazza Rossa di Mosca per celebrare l'ottantesimo anniversario della vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale. Keir Starmer, Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk sono giunti nella capitale ucraina, dove c'è stata prima la visita a Maidan, luogo simbolo della resistenza ucraina e poi l'incontro con il presidente ucraino Zelensky. Sul tavolo del vertice il dossier sulla «forza integrata aria-terra-marittima e di ricostruzione», da includere in un eventuale accordo di pace, e la richiesta a Mosca di accettare a partire da lunedì una tregua di 30 giorni.
Nel suo intervento da remoto, il premier Meloni ha ribadito il messaggio che consegnò a Donald Trump nella visita a Washington: «Sono necessarie le condizioni per una pace giusta a duratura che assicuri la sovranità e la sicurezza dell'Ucraina».
Si è registrata, infine, una perfetta unità tra i volenterosi, Trump e Meloni sulla richiesta alla Russia di accettare una tregua di trenta giorni a partire da domani. Da Mosca però nessuna apertura chiara sulla tregua di un mese, le risposte sono ancora contraddittorie.
Nel corso della discussione si è anche ribadita l'importanza del grande appuntamento a sostegno di Kiev che verrà ospitato dall'Italia a luglio con la conferenza a livello capi di Stato e di Governo per la ricostruzione dell'Ucraina. Ecco, magari, quella sarà la sede per stabilire un piano definitivo europeo per il futuro dell'Ucraina.
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