Un mese di guerra: l'inferno del 7 ottobre è un punto senza ritorno

Da quando, un mese fa, tutte le sirene d'Israele non sono bastate ad avvertire della calata dei barbari di Hamas sui kibbutz del confine sud di Israele, la nebbia avvolge il futuro, anche quello del mondo intero

Un mese di guerra: l'inferno del 7 ottobre è un punto senza ritorno
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Da quando, un mese fa, alle 6,20 di mattina, tutte le sirene d'Israele non sono bastate ad avvertire della calata dei barbari di Hamas sui kibbutz del confine sud di Israele, la nebbia avvolge il futuro, anche quello del mondo intero, e solo una certezza è rimasta. Siamo disorientati, stupiti. Non sappiamo se c'è un limite alla crudeltà umana, dopo aver assistito in diretta, tramite le macchine da presa dei terroristi stessi, alle atrocità compiute sui corpi dei bambini di fronte alle madri, delle madri di fronte ai bambini. Non sappiamo se è davvero finito l'incubo dell'esercito di assassini che al grido «yehud yehud» e «Allah akbar» ha ucciso 1.400 innocenti, giovani che ballano, vecchi stupefatti, famiglie intere... Uno a uno. Vediamo che questo urlo, con violenza e omicidi, invade adesso anche le città occidentali, e non sappiamo se ci sarà la forza e la volontà di contrastarlo, o se invece gli ebrei dovranno sgomberare, come dalle città di confine col Libano degli Hezbollah o con Gaza di Hamas. Non sappiamo più se Israele, che credevamo capace di difendersi con eccellenti mezzi tecnologi e militari, sia forte come si pensava; se la sofferenza estrema delle famiglie dei 240 ostaggi fra cui 30 bambini risveglierà le coscienze dell'Occidente in una richiesta collettiva che per ora non si è sentita. È penoso anche combattere una guerra di sopravvivenza in un mondo che immagina che «pace» e «aiuti umanitari» siano parole universali, anche per Hamas che usa la sua gente come scudi umani e dichiara che vuole anche il suo sangue. Ancora: non sappiamo dove arriverà la furia di strada antisemita-antisionista, un misto di demenziale, ignorante cultura woke mista a odio islamista. Però una cosa si sa: come dopo la Shoah, quando pareva impossibile che gli ebrei trovassero la forza di costruire lo Stato d'Israele, gli ebrei sono entusiasti della vita, combattono per vincere, i giovani al fronte sanno che combattono la battaglia storica della sopravvivenza del popolo ebraico anche mentre piangono (e piangono!) i caduti.

Intorno, come al tempo della seconda guerra mondiale, si fronteggiano due continenti ideali, quello iraniano-russo coi loro alleati in un disegno oppressivo e feroce, determinato alla dominazione; dall'altra parte quello americano-israeliano-europeo. È quello della libertà, del giorno dopo il sabato nero, quando tornerà la luce.

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