
Da una parte c'è la soddisfazione per la decisione di Moody's di confermare il rating «Baa3» dell'Italia, alzando però l'outlok da «stabile» a «positivo». Dall'altra non può non affacciarsi qualche preoccupazione per l'inattesa decisione di Donald Trump di infrangere una tregua sui dazi che sarebbe durata fino al 9 luglio e che ora ha una nuova deadline al primo giugno. Che, politicamente parlando, significa domani. Peraltro, con le diplomazie di Washington e Bruxelles che non sembrano affatto vicine a trovare un punto di caduta comune. Inevitabile, dunque, che a Palazzo Chigi si guardi sì al bicchiere mezzo pieno, ma pure alla prospettiva che un'eventuale guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa possa avere già nel breve periodo delle ricadute sull'Italia.
Certo, il giudizio dell'agenzia di rating newyorkese è un segnale che Giorgia Meloni accoglie con soddisfazione. La decisione di Moody's - è il senso dei ragionamenti della premier - rappresenta un «segnale importante di fiducia nella solidità della nostra economia e nella credibilità delle politiche economiche del governo». Ed è, fanno sapere da Palazzo Chigi, «il riconoscimento del lavoro serio e responsabile che stiamo portando avanti per salvaguardare i conti pubblici, sostenere la crescita e attrarre investimenti».
Ma Meloni non è soddisfatta solo per il dato in sé, ma anche perché non ha dimenticato quando dall'opposizione sostenevano che un governo guidato da Fdi avrebbe fatto schizzare lo spread e agitare i mercati. Per dirla con le parole del presidente della commissione Finanze della Camera Marco Osnato, «questo disco verde mette fine agli assurdi pregiudizi, fomentati prima delle elezioni politiche da certi salotti provinciali, contro il governo di Giorgia Meloni». Concetto su cui torna anche Francesco Filini, deputato e responsabile del programma di Fdi, che parla di «pietra tombale sulle fake news di Pd e M5s».
L'andamento della nostra economia, però, è inevitabilmente legato alla partita sui dazi che si sta giocando tra Stati Uniti e Europa. Con lo strappo di Trump che ha sorpreso gli interlocutori europei, soprattutto dopo che proprio Meloni era riuscita a far sedere allo stesso tavolo il vicepresidente americano J.D. Vance e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Un accelerazione, quella dell'ex tycoon, che va letta anche alla luce della velata minaccia degli Stati Uniti di chiamarsi fuori dalla mediazione diplomatica tra Russia e Ucraina, eventualità che rischia di mettere la parola fine ai negoziati e trasformare il conflitto tra Mosca e Kiev in una questione esclusivamente europea.
Inevitabile, dunque, che si guardi con apprensione alle mosse di Trump. Circostanza che a taccuini chiusi confermano diversi esponenti di Fdi, anche alcuni di quelli più vicini ai dossier, preoccupati dalla sempre crescente imprevedibilità di Trump. Certo, la linea del governo non cambia e resta quella del dialogo, con l'obiettivo di evitare dazi reciproci e salvaguardando l'unità dell'Occidente. Senza quindi alzare i toni e farsi trascinare in polemiche che non aiuterebbero la trattativa. Che, peraltro, essendo il commercio materia di cui si occupa in via esclusiva l'Ue, è nelle mani proprio di von der Leyen e del commissario al Trade Maro efcovic. «L'alleanza con gli Usa è una cosa seria», spiega il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. «Noi - aggiunge l'esponente di Fdi - non siamo in grado di difenderci da soli e la Nato non può essere messa in discussione, dunque le trattative con Washington devono essere serie e chiare».
«Serve che Stati Uniti e Ue cerchino di parlare la stessa lingua, cosa che finora non mi pare particolarmente riuscita. Ma - conferma Osnato - finché non ci sono decisioni definitive la strada migliore è quella della trattativa».