Politica estera

Le nuove sfide europee: Bratislava guarda alla Ue e allarme Serbia-Kosovo

In Slovacchia gli atlantisti in vantaggio sui filo-Putin. Balcani allerta Usa: "Truppe di Belgrado al confine"

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Finale a sorpresa a Bratislava. Sarebbe il liberale, europeista e filo occidentale Michal Simecka ad aver vinto le elezioni anticipate, almeno secondo le prime anticipazioni. La formazione «Slovacchia progressista» del giovane vicepresidente del Parlamento europeo - secondo i primi exit poll - ha battuto «Direzione-Socialdemocrazia» dell'ex-premier Robert Fico, ex comunista e filo-Putin.

«Ps» di Simecka è quotato al 23,5% dei consensi, mentre «Smer-Sd» del populista Fico si sarebbe fermato al 21,9%. La rilevazione dell'istituto Focus per la tv Markiza attribuisce inoltre al Partito «Voce-Socialdemocrazia» (Hlas-Sd) di Peter Pellegrini il 12,2%. Nel parlamento di Bratislava, superando la soglia di sbarramento del 5%, entrerebbero in tutto sette partiti.

È comunque un testa a testa il voto che si è celebrato ieri, all'ombra non solo della guerra di Putin in Ucraina, ma anche delle nuove tensioni tra Belgrado e Pristina, con il costone balcanico nuovamente al centro degli interessi globali.

Nelle urne slovacche si sono scontrate plasticamente due visioni agli antipodi: quella dell'anti-Kiev Fico e quella dell'atlantista Simecka. Nel mezzo la disinformatia elettorale, a dimostrazione delle pressioni esterne su un Paese che dovrà ora decidere come proseguire la propria politica estera: Fico, già premier dal 2006 al 2010 e dal 2012 al 2018, ha annunciato di voler fermare gli aiuti militari all'Ucraina e nel suo passato c'è anche un giallo, legato al duplice omicidio del giornalista Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kusnirova che gli valse le dimissioni per via di alcuni reportages sul suo governo.

Mille chilometri più a sud il focolaio di tensioni tra Serbia e Kosovo potrebbe innescare un altro conflitto: secondo Washington il fatto che la Serbia stia ammassando truppe al confine con il Kosovo rappresenta un rischio concreto. Per questa ragione, gli Usa hanno ufficialmente chiesto a Belgrado di «ritirarle immediatamente». Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha ribadito al presidente serbo Aleksandar Vucic «la necessità immediata di allentare le tensioni con il Kosovo e di chiedere conto ai responsabili dei recenti attacchi violenti». Al contempo ha sottolineato l'importanza di attuare pienamente gli impegni assunti nell'ambito del dialogo facilitato dall'Ue.

Secondo John Kirby, portavoce della del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, gli Usa vedono «un importante dispiegamento militare serbo lungo il confine compresa l'istallazione senza precedenti» di artiglieria, carri armati e unità di fanteria. In sostanza, il medesimo schema andato in scena al confine tra Russia e Ucraina nei mesi precedenti all'invasione putiniana. Si tratta di una mossa che la Serbia ha deciso come risposta alle sparatorie di Banjska tra serbi e polizia locale, culminati con la morte di un agente kosovaro e di tre serbi. Proprio per questa ragione la Nato ha deciso di rafforzare la presenza della Kfor con «ulteriori forze» attorno alla linea del confine amministrativo con la Serbia anche con militari inglesi, così come confermato dal ministero della Difesa di Londra che invierà un battaglione di circa 600 soldati.

Sceglie di rispondere con la sciabola il leader kosovaro Albin Kurti, che ha accusato il presidente serbo di aver pianificato l'attacco della scorsa settimana al fine di «destabilizzare» il Paese, lanciare una guerra e creare in Kosovo «un'altra Repubblica serba» sulla falsa riga della Bosnia Erzegovina.

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