
«Quante divisioni ha il Papa?» chiedeva sprezzante Stalin a Yalta. Neanche una, ma il potere spirituale che incarna in nome di Cristo e della chiesa è enorme e nessun dittatore riuscirà mai a superarlo con tutte le sue armate.
Leone XIV non solo segue le tracce di Bergoglio, sul sentiero della pace, ma accelera fin dal suo insediamento di fronte al mondo. Quando il Papa, prima del Regina Caeli di ieri, ha ribadito con forza che «non possiamo dimenticare i fratelli e le sorelle che soffrono a causa delle guerre» ricordando i bambini di Gaza ridotti alla fame, il conflitto in Myanmar e la devastazione nel cuore dell'Europa è scoppiato un fragoroso applauso dei 150mila fedeli a San Pietro. «La martoriata Ucraina attende finalmente negoziati per una pace giusta e duratura» ha sottolineato Leone XIV. Forse non sarà giusta, con la P maiuscola e ci vorrà un miracolo per renderla duratura, ma la Santa Sede con il nuovo Papa sta lanciando un'«offensiva» diplomatica a favore della pace, senza precedenti. Nei giorni scorsi il segretario di Stato, Pietro Parolin, ha ripetuto la volontà del Papa di mettere a disposizione il Vaticano per trovare una via d'uscita fra russi e ucraini. Dopo Istanbul il segretario di Stato americano Marco Rubio, presente a Roma, ha preso la palla al balzo dichiarando che «il Vaticano è certamente un luogo dove entrambe le parti sarebbero a loro agio». Peccato che Olga Liubimova, ministro e delegata del Cremlino, non è arrivata in tempo a Roma per un non meglio specificato «problema di rotta» con l'aereo.
Bergoglio ci ha provato inviando in missione a Kiev, Mosca, Washington e Pechino il cardinale Matteo Zuppi, che aveva ottenuto la pace nella sanguinosa guerra civile in Mozambico. Un asso nella manica che può tornare utile per smussare gli angoli. E guarda caso Rubio ha incontrato Zuppi e il cardinale Parolin.
Robert Francis Prevost ha voluto dare, proprio ieri, un segnale forte accogliendo in udienza, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Non si è presentato, come l'ultima volta in Vaticano, altezzoso, in maglietta combat verde e tridente ostentato, ma in maniera più sobria. E ha ringraziato «il Vaticano per la sua disponibilità a fungere da piattaforma per i negoziati diretti tra Ucraina e Russia» aggiungendo che «siamo pronti al dialogo in qualsiasi forma per ottenere risultati tangibili». Poi ha invitato il Papa a Kiev, un altro sogno mai realizzato di Bergoglio, ma l'erede americano di Pietro starà molto attento a calibrare le visite. Se va in Ucraina dovrà andare anche a Mosca portando in dote una speranza di pace concreta. Sul lato russo le parole di apprezzamento di Putin, quando il conclave ha scelto Prevost sicuramente aiutano, ma ancora di più potrebbe fare la chiesa ortodossa troppo allineata con il Cremlino. Non è un caso che ieri il Papa abbia ribadito l'auspicio di una «strada da fare insieme», anche «con le Chiese cristiane sorelle per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace».
E oggi, quando Donald Trump parlerà al telefono con Putin, Leone XIV potrebbe incontrare in Vaticano il vicepresidente americano JD Vance.
La cerimonia di esordio del Papa ha già compiuto un piccolo «miracolo». Zelensky ha stretto la mano a Vance e poi si sono visti, assieme a Rubio, per la prima volta dopo l'umiliazione alla Casa Bianca. Sul tappeto «la situazione al fronte, i preparativi per i colloqui tra Trump e Putin, la possibilità di sanzioni contro la Russia se non ci saranno risultati per un cessate il fuoco».
Anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il trilaterale con Vance e la premier Giorgia Meloni ha parlato di «settimana
cruciale per le trattative». Forse farebbe bene, in un momento così delicato, a calmare i bollenti spiriti di qualche galletto europeo per puntare solo alla tregua, primo passo verso la fine della guerra nel cuore dell'Europa.
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