Guerra in Israele

Il paradosso di Hamas: fa patti con Putin mentre Russia e Cina combattono i musulmani

Il summit al Cremlino con gli estremisti consolida l'asse antioccidentale. La repressione di Mosca e Pechino

Il paradosso di Hamas: fa patti con Putin mentre Russia e Cina combattono i musulmani

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Il paradosso di Hamas: fa patti con Putin mentre Russia e Cina combattono i musulmani

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Scontro di civiltà e politiche di potenza. L'incontro di Mosca tra i leader di Hamas e le autorità russe mostra con evidenza plastica una delle linee di faglia più contraddittorie dell'equilibrio strategico globale. I vertici di uno dei più violenti movimenti islamici vengono ricevuti con tutti gli onori ai piani alti del Cremlino. A prima vista nulla di sorprendente visto che sia Russia sia Cina (l'altra grande autocrazia che si contrappone alle democrazie liberali) sono da sempre attentissime al ruolo dell'islam, spesso consapevolmente usato come cuneo per divaricare il cosiddetto Sud del mondo dall'Occidente. Così, se per gli estremisti islamici gli Stati Uniti sono il «grande Satana», Mosca e Pechino sono di solito alleati, più o meno fidati, ma pur sempre alleati.

Gli schieramenti in campo sono evidenti, ma basta osservarli con attenzione per notare un paradosso: è solo il «nemico» occidentale a garantire all'islam una piena libertà di culto, mentre gli «amici» russi e cinesi rappresentano veri e propri casi scuola di repressione e di controllo politico della religione.

Se si parla della Cina l'esempio più evidente è quello della popolazione uigura dello Xinjiang: un'intera regione, musulmana e turcofona, viene governata con norme da stato di polizia e centinaia di migliaia di persone detenute nei campi di rieducazione. Nella zona le visite degli stranieri sono di fatto vietate e le spie di Pechino arrivano a perseguitare anche le famiglie uigure emigrate all'estero. Anche per questo si tratta di una realtà complicata da raccontare e documentare, ma, nonostante tutte le difficoltà, colpisce ugualmente la scarsa attenzione che la sempre appassionata opinione pubblica occidentale dedica al tema.

Più sottile e complesso il trattamento che la Russia riserva ai suoi musulmani. Gli islamici sono la prima minoranza del Paese (più o meno 14 milioni di persone, circa il 10% della popolazione), eredità dei khanati tartari e dell'islamizzazione del Caucaso. Ma la sorveglianza contro i pericoli del «wahabismo» e del «salafismo» è ferrea. In Cecenia, la zona che ha riservato ai colonizzatori russi i maggiori dolori, la soluzione è stata trovata creando una sorta di signoria medievale affidata a un despota locale, Razman Kadyrov. Negli ultimi due anni, da fervente musulmano (anche se caucasico, con regole un po' sui generis) ha fatto per due volte il pellegrinaggio alla Mecca. Dalle sue parti è lui e solo lui a presidiare il carattere islamico della repubblica autonoma: quello che decide è legge.

Nelle altre parti del Paese il controllo viene esercitato soprattutto attraverso un'istituzione attiva sia a livello federale che di singole repubbliche, l'Associazione spirituale dei musulmani (nella sigla russa è Dsmr), creata ai tempi dell'Urss e il cui ruolo è stato conservato. La registrazione di organizzazioni religiose o moschee indipendenti è resa difficile e chi non è registrato è tagliato fuori da ogni possibilità di pubblica. L'Associazione dei musulmani opera da parte sua sotto lo stretto controllo statale (via finanziamenti, concessioni politiche o di potere), in modo da «incapsulare», ha scritto una studiosa americana, ogni potenziale fonte di opposizione.

Le durissime leggi anti-estremismo chiudono il cerchio.

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