
L'espressione è orribile e bellissima, «imparzialità percepita» intesa come l'aura che un giudice dovrebbe emanare rispetto a un pubblico ministero. Giudice e pm sono le due figure che la separazione delle carriere vorrebbe separare, appunto, affinché la loro funzione diversa (molto) diventi percepibile anche secondo il senso comune, qualcosa a cui altre nazioni hanno dato da tempo forma oltreché sostanza: perché hanno pensato, banalmente, che difficilmente un imputato potrà sentirsi garantito se chi lo giudica e chi lo accusa si formano nelle stesse aule, lavorano negli stessi edifici, siedono negli stessi organi associativi, calpestano gli stessi corridoi, come se facessero lo stesso concorso e potesse scambiarsi il mestiere: che è quello che succede da noi, anche se non è il problema principale. Non è per questo che vogliono fare la riforma. La separazione delle funzioni certo, come no, ha già reso marginali i passaggi da una funzione all'altra, si parla di meno dell'1 per cento dei casi (secondo il Csm lo 0,5,) e su un corpo di 9mila magistrati, a chiedere il cambio, sono meno di 50 all'anno. Non è il vero problema, pur restando un problema: serve a poco che la magistratura contro-argomenti su questo utilizzarlo per sostenere che separazione non serve. Non è una cosa che fa presa sul famoso cittadino: in quale peraltro ignora che pm e giudici sono preposti gli stessi organismi (i consigli giudiziari e il Csm).
Il famoso cittadino entra in tribunale e vede i magistrati da una parte e gli avvocati dall'altra, due categorie, due mestieri, non tre. Non conosce le statistiche sull'«appiattimento» dei giudici sui pm o il tasso di rigetto delle richieste dell'accusa, o quelle d'arresto che vengono rifiutate, le assoluzioni, i proscioglimenti, i dati sciorinati dalla Magistratura associata per dimostrare che l'appiattimento non c'è, che è percepito anche quello. Magari lo è. Facciamo pure che sia percepito. La soluzione è non renderlo percepibile: perché è una sconfitta dello Stato di diritto ma è ciò che una Magistratura ai minimi termini di popolarità lascia percepire da anni.
In Europa non lo permettono. In Francia ci sono due magistrature, i concorsi sono diversi, i candidati scelgono un percorso o l'altro, i luoghi di lavoro sono separati. In Germania si distingue nettamente tra giudici e pm: carriere, percorsi, strutture e uffici non condivisi. In Spagna i pm lavorano in sedi autonome e lontane dalle carriere giudicanti. Ma non stiamo dicendo (non ora) che queste nazioni abbiano perciò una giustizia migliore della nostra: stiamo dicendo che i loro sistemi sono comunque rigorosamente ossequenti all'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea, quindi ai principi di legalità, di certezza del diritto e di divieto dell'esercizio arbitrario del potere esecutivo: pur prevedendo una netta separazione delle carriere, la stessa che le correnti della nostra magistratura dicono che metterebbe a rischio lo stato di diritto. Sono tutte contrarie, le correnti togate, tutte: Magistratura democratica di principio, Area teme che i giudici divengano dei funzionari amministrativi, in Magistratura Indipendente qualcuno sostiene che la separazione potrebbe anche servire, se ben costruita: ma pensa che non lo sia. La sostanza è che la magistratura si oppone tutta e su tutto, amplificando un'impressione di chiusura sindacale a riccio (sarà percepita?) che il famoso cittadino tende ad attribuisce a chi teme di perdere potere e privilegi.
Alla fine il concetto è semplice, non tecnico: non basta che il giudice sia imparziale, deve anche sembrarlo. Gli italiani sono abituati a dire che un tizio fa il magistrato, non che fa il pm o il giudice.
Lo annotiamo su giornali che per anni scrissero «giudice Di Pietro» che pure, giudice, non è mai stato. Schiere di giovani, trent'anni fa, studiavano giurisprudenza per diventare come lui, fare la sua carriera: altrettanti giovani, un domani, dovrebbero poter dire, con fierezza, che di carriera ne hanno scelta un'altra.