Il piano anti-Putin e la cerchia dei fedelissimi. Ma lo Zar maniacale stringe sulla sicurezza

L'ipotesi di un complotto degli uomini più vicini al leader del Cremlino. Dai controlli sul cibo ai giubbotti anti-proiettile, tutte le misure contro un attentato

Il piano anti-Putin e la cerchia dei fedelissimi. Ma lo Zar maniacale stringe sulla sicurezza

Sarà interessante (ammesso che non sparisca semplicemente senza lasciar tracce) seguire il destino di Aleksandr Bortnikov, il direttore dei servizi segreti russi Fsb indicato da una presunta rivelazione dei colleghi-nemici dell'Sbu ucraino come il candidato di un gruppo di congiurati eccellenti alla successione di Vladimir Putin. Sempre che l'attuale numero uno del Cremlino cada effettivamente vittima di quel complotto ordito da oligarchi e generali di cui parla l'intelligence di Kiev.

Di Bortnikov, indicato come responsabile dell'assassinio dell'ex collega Aleksandr Litvinenko, sappiamo che è caduto in disgrazia agli occhi di Putin per avergli fornito informazioni sbagliate sulla guerra in Ucraina. Ma dopo aver perso credito agli occhi del Capo, Bortnikov potrebbe adesso lasciarci anche la pelle vere o false che siano le informazioni ucraine che lo riguardano: Putin non guarda per il sottile.

Le probabilità che Vlad il Terribile muoia in un attentato sono piuttosto remote. Putin è maniacale in fatto di sicurezza, è convinto che gli americani lo vogliano far uccidere come Gheddafi, fa assaggiare i suoi pasti e va in pubblico col giubbotto antiproiettile. Solo un poco verosimile complotto ordito nella cerchia dei fedelissimi potrebbe avere successo.

È comunque interessante notare che Putin, come Bortnikov, è stato il capo della polizia segreta, ruolo che nella storia sovietica è stato spesso associato a una morte precoce. Yuri Andropov fu l'unico direttore del Kgb a trasmigrare al vertice del partito-Stato, era il novembre 1982, ma già nel febbraio 1984 il nuovo leader dell'Urss era morto, ucciso da un «raffreddore» passato alla storia: in realtà si trattò di morte naturale per cancro. Nessun dolo apparente anche nel caso di Feliks Dzerzhinskij, il collerico fondatore della Ceka (in seguito Nkvd, poi Gpu, poi Kgb) che morì d'infarto nel 1925, a 49 anni, nel corso di un violento alterco. La sequenza successiva, però, è agghiacciante. Siamo nel terribile trentennio del potere di Stalin, personaggio che Putin ha riabilitato. Genrikh Jagoda, spietato capo dell'Nkvd fino al 1936, viene fatto a sua volta fucilare nel 1938. A «scoprire» il suo tradimento era stato l'uomo che poi prese il suo posto: Nikolai Yezhov, detto «nano assassino» (era alto un metro e 50), un mostro sanguinario che proseguì le famigerate purghe staliniane fino a rimanerne egli stesso vittima: Stalin lo fece fucilare nel febbraio 1940 attribuendogli la colpa degli eccessi.

Gli successe un altro assassino di massa: Lavrentij Beria. Torturatore sadico, sopravvisse alle paranoie del suo capo e nel marzo 1953 si vantò davanti agli altri gerarchi del Politburo di aver causato la morte per ictus di Stalin per mezzo del veleno. Pochi mesi dopo, in seguito a un complotto degno di un film di gangster ordito da Kruscev e Malenkov, Beria fu arrestato e sbrigativamente giustiziato: i suoi carnefici vivevano nel terrore che lui stesse per farlo a loro.

Anche Vladimir Putin è stato capo del Kgb, ne

conosce i metodi e li adopera ampiamente: il destino di Litvinenko, di Boris Berezovsky, di Anna Politkovskaja, di Boris Nemtsov e di tanti altri è una lunga striscia di sangue. Non dovrebbe aver paura anche per se stesso?

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