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Porro in croce: è filoucraino e pure filorusso

Non gliene va dritta una, a Nicola Porro

Porro in croce: è filoucraino e pure filorusso

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Porro in croce: è filoucraino e pure filorusso

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Non gliene va dritta una, a Nicola Porro. Per una settimana, il conduttore tv e vicedirettore del Giornale, viene massacrato perché, secondo il «tribunale» di Twitter, non avrebbe stretto la mano di Volodymyr Zelensky, leader ucraino, a Porta a Porta. Passano pochi giorni e scopre di doversi difendere davanti all'Ordine del giornalista per aver intervistato, il 22 maggio 2022, a Quarta Repubblica, su Retequattro, la viceministra degli Esteri ucraina, Emine Dzhaparova. Qualcuno ha fatto esposto all'Ordine per denunciare la mancanza di contraddittorio. Non c'erano ospiti filorussi a «bilanciare» e la viceministra avrebbe negato l'esistenza di una guerra civile nel Donbass. C'era però Toni Capuozzo, che ha piazzato un paio di domande per nulla compiacenti. Porro comunque può vantare un record: è un pericoloso filorusso ma anche un pericoloso filoucraino. Non solo. Deve rendere conto di come conduce le interviste in nome di... Giusto, riflettiamo: in nome di cosa? Il pluralismo è sacro ma in qualche caso prevale il diritto anzi la necessità di documentare e avere risposte. Se così non fosse, Bruno Vespa avrebbe dovuto ospitare, insieme con Zelensky, anche il pari grado Vladimir Putin. E come la mettiamo nel caso dei politici? Abbiamo visto parecchie interviste al singolo segretario di partito. E nel caso di temi per niente controversi ma cruciali, come la mafia? Non vorremmo che fosse necessario invitare un picciotto (o un suo avvocato) per «bilanciare». Domandiamoci, tra l'altro, a cosa stiamo assistendo in questi mesi. Quando si inizia a chiedere a vignettisti e giornalisti di rendere conto sulle modalità del loro lavoro, si imbocca una strada potenzialmente perniciosa. Più in generale, in fondo il fatto che Porro sia accusato di una cosa e del suo contrario, ci dice qualcosa sul nostro tempo in cui la libertà d'espressione, un po' alla volta, è stata ed è erosa dalla parodia della partecipazione democratica nota come politicamente corretto. Le parole giuste sono messe al servizio di cause sbagliate, i veri fascisti (e comunisti) si nascondono dietro l'antifascismo, i veri razzisti parlano la lingua dell'antirazzismo (vedi il caso di Israele). C'è chi invoca la parità e l'uguaglianza come randello per zittire o intimidire (vedi il caso Roccella al Salone). E così via.

Fino a quando le parole, usurate da troppe strumentalizzazioni, perdono ogni significato reale.

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