Preso il covo di Hamas. "Sì a pause di 4 ore". Cia e Mossad in Qatar a trattare sugli ostaggi

Nel cuore e nel cervello di Hamas. I soldati israeliani hanno fatto irruzione nel quartier generale dell'organizzazione terroristica a Gaza City, vicino all'ospedale Shifa, uccidendo cinquanta esponenti palestinesi

Preso il covo di Hamas. "Sì a pause di 4 ore". Cia e Mossad in Qatar a trattare sugli ostaggi
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Nel cuore e nel cervello di Hamas. I soldati israeliani hanno fatto irruzione nel quartier generale dell'organizzazione terroristica a Gaza City, vicino all'ospedale Shifa, uccidendo cinquanta esponenti palestinesi. L'operazione, raccontata dal portavoce militare di Israele, ha espugnato la scatola nera di Hamas, il luogo dove sono stati ideati e preparati i piani operativi per il massacro diffuso del 7 ottobre.

Le forze corazzate di fanteria e i genieri della Brigata Givati, assistiti dall'aviazione e dalle forze speciali, hanno fatto irruzione nel quartier generale e si sono fatti largo con violenti combattimenti, anche corpo a corpo. I soldati israeliani si sono trovati davanti un incrocio tra un arsenale e una war room: una fitta rete di tunnel, officine per la produzione di tank, postazioni di lancio antiaerea, estese strutture per l'addestramento. E poi gli uffici di governo dell'organizzazione terroristica, compreso il ministero dell'Interno e la stazione di polizia, nei quali sono stati rinvenuti documenti dell'intelligence militare.

Si stringe il cappio attorno al collo di Hamas. La giornata di ieri ha registrato anche l'uccisione di Ibrahim Abu-Maghsib, capo dell'unità missili anti-tank della brigata centrale di Gaza, colpito nel corso di un attacco aereo mirato e la conquista della roccaforte di Hamas, il cosiddetto Avamposto 17, nel campo profughi di Jabalya, nel Nord della Striscia. Soldati dell'esercito israeliano hanno anche scoperto un sito di produzione e stoccaggio di armi e droni di Hamas in un edificio residenziale accanto a una camera da letto per bambini, nelle immediate vicinanze di alcune scuole nel centro del quartiere di Sheikh Radwan, nel nord di Gaza. Assalto anche in Cisgiordania, con un bombardamento a Jenin che è costato la vita a quindici persone.

Il fronte bellico si salda con quello diplomatico, che si muove su due prospettive. Una di lungo termine si interroga sul futuro della Striscia di Gaza una volta liberata dai suoi folli padroni, con Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, fermo sul fatto che Israele una volta terminata l'operazione militare debba lasciare la Striscia, e Gerusalemme che sembra decisa invece a mantenere una presenza di controllo. E una di breve raggio, il lavorìo incessante per consentire la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas, legata alla possibilità se non di un cessate il fuoco che al momento appare impossibile almeno di una breve tregua. Ieri il portavoce del consiglio per la sicurezza degli Stati Uniti John Kirby ha garantito che «Israele consentirà pausa umanitarie di quattro ore a nord di Gaza» e aprirà due corridoi umanitari dall'area nord a quella sud della Striscia. Nel frattempo il capo della Cia, Bill Burns, e quello del Mossad, David Barnea, sono arrivati a Doha per portare avanti i faticosi negoziati mirati alla liberazione di parte degli ostaggi nelle mani di Hamas. I due leader dovrebbero essere raggiunti anche dall'ex leader degli 007 libanesi, Abbas Ibrahim. A sperare in un buon esito della trattativa ci sono anche centinaia di migliaia di sfollati nel Sud della Striscia, che sperano nel corso dell'auspicabile «hudna», così chiamano da quelle parti la tregua, di poter fare un salto al Nord, per prendere i beni necessari alla sopravvivenza, vestiti, documenti, foto di famiglia, giocattoli per i bimbi, medicine. E coperte per il freddo. «Chissà quanto altro tempo dovremo restare accampati qua», dicono dai campi profughi.

Speranze che al momento appaiono vane.

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyah avrebbe infatti secondo il Guardian respinto più volte un possibile accordo per la liberazione di un certo numero di ostaggi in cambio di una tregua di cinque giorni, nella convinzione che ai terroristi di Hamas non si possa e non si debba fare alcuna concessione.

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