Dal prof al pizzaiolo, ecco i "nuovi ricchi"

La sinistra cavalca i vaneggiamenti di Bankitalia e Istat sul taglio all'Irpef. Questa la verità

Dal prof al pizzaiolo, ecco i "nuovi ricchi"
00:00 00:00

Nel trambusto delle polemiche sulla nuova aliquota Irpef quella che scende dal 35 al 33% per i redditi fino a 200mila euro la sinistra ha scelto la scorciatoia più facile: gridare al "regalo ai ricchi". Lo ha fatto anche Francesco Boccia, che ieri ha sentenziato: "Mentre il governo Meloni regala miliardi ai redditi più alti, 5,8 milioni di italiani rinunciano a curarsi. I ricchi ricevono di più, i poveri restano soli. È la manovra dell'ingiustizia sociale". Un refrain perfetto per i talk show, ma lontano dalla realtà di chi quei redditi li guadagna con fatica. Perché il taglio di due punti sull'aliquota intermedia non riguarda manager da jet privato, ma lavoratori qualificati che reggono l'impalcatura del Paese: insegnanti, bancari, tecnici, quadri, professionisti del terziario, giornalisti, chef, farmacisti, caporeparto. Tutta gente che il 27 del mese si ritrova in busta paga circa 1.950 euro netti: abbastanza per vivere, ma non per sentirsi ricca. Il dato dei 35mila euro lordi - tanto evocato da Istat e Upb nelle audizioni sulla manovra come soglia medio-alta - va tradotto in potere d'acquisto reale. Secondo i calcoli sui contratti nazionali, lo raggiunge un docente delle scuole superiori dopo quasi trent'anni di carriera, un giornalista dopo due anni e mezzo di lavoro redazionale, un caporeparto logistico solo grazie a premi e straordinari, un farmacista soltanto se direttore o quadro aziendale. Gli ingegneri informatici e i tecnici elettronici superano 35mila euro dopo 3-6 anni, ma per loro non si tratta di lusso, bensì di mercato: un modo per restare in Italia invece di emigrare. Nei settori a minore valore aggiunto, come commercio e ristorazione, anche figure di responsabilità - come un caporeparto o un pizzaiolo di alto profilo - restano poco sotto, a 33mila euro lordi. A quel livello, bastano due settimane di ferie in meno o un premio una tantum per arrivare alla soglia dei ricchi evocata dalla sinistra. Il taglio Irpef, del resto, non regala fortune: al massimo 440 euro l'anno di beneficio (36,6 euro al mese, ricordiamolo) per chi guadagna fra 50 e 200mila euro.

Una cifra simbolica, un'inezia se confrontata con il peso delle bollette, del mutuo o dell'inflazione. Ma è un segnale: dopo anni di manovre che hanno escluso sistematicamente chi guadagna più di 35mila euro da ogni bonus o detrazione, lo Stato riconosce finalmente che il ceto medio non è un bancomat ma un contribuente.

Calcolano la "spesa concentrata sull'8% più ricco", ma dentro quella percentuale finiscono insegnanti di ruolo, bancari di terza area, tecnici specializzati: non certo rentier o top manager. È il solito vizio delle élite contabili: vedere solo le colonne di un foglio Excel, non la vita reale delle persone dietro i numeri. Il taglio non cambia la geografia sociale del Paese, ma corregge un'ingiustizia antica: l'idea che solo chi guadagna meno meriti attenzione politica, mentre chi produce e paga per tutti debba essere lasciato al suo destino. La verità è che senza il ceto medio non si regge nulla. Non l'economia, non i servizi, non la coesione sociale. E non si può continuare a raccontare l'Italia come un Paese spaccato tra poveri e ricchi, dimenticando che la maggioranza sta nel mezzo, spesso più stanca che privilegiata. Chi parla di redistribuzione al contrario dovrebbe ricordare che il 60% degli italiani paga meno del 10% del gettito totale dell'Irpef, mentre la gran parte degli incassi arriva proprio da chi sta nella fascia medio-alta. È questo popolo di partite Iva e dipendenti qualificati che finanzia scuola, sanità e welfare universale. E che, in cambio, riceve poco o nulla. Nessun sostegno, nessun incentivo, spesso nemmeno la piena indicizzazione delle pensioni future. Non ricchi, ma soli.

In questo senso, le critiche di Bankitalia, Upb, Corte dei Conti e Istat appaiono scollegate dal terreno. Questi istituti misurano, ma non comprendono che non è un favore ai cittadini di destra, semplicemente è un atto di giustizia. Significa restituire dignità a chi non chiede assistenza, ma rispetto.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica