"Ora ritorni a casa, la guerra è finita!". Gli ostaggi liberati e la gioia di Israele

Rilascio in due tempi, poi il trasferimento in ospedale. A Tel Aviv 100mila in piazza

"Ora ritorni a casa, la guerra è finita!". Gli ostaggi liberati e la gioia di Israele
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Settecentottantré giorni. Un periodo lungo ma relativamente breve se parte di una vita normale. Un paio d'anni, in cui possono succedere e cambiare tante cose ma pur sempre "solo" un paio d'anni. Dal comodo dei divani di casa nostra è quasi impossibile immaginare quanto infinitamente lungo possa essere stato questo periodo per i 20 che sono stati rapiti da Hamas e che quei settecentottantatré giorni li hanno passati rinchiusi chissà dove. In un tunnel, in una stanza, legati. Subendo violenze fisiche e psicologiche difficili anche solo da immaginare. Patendo la fame, vivendo in una costante condizione di terrore. Quei 20 che ieri, finalmente, sono tornati liberi. Riabbracciando le proprie famiglie, tornando ad assaporare il profumo della libertà e della vita vera. Anche se quel terrore, quella paura, chissà per quanto li accompagneranno. Ma intanto, ieri Israele ha riabbracciato i suoi 20, accolti da un lungo applauso nella ribattezzata Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv dove dalla scorsa notte in 100mila si erano radunati. E che ora potrà tornare a essere soltanto una piazza.

Ansia, speranza, attesa. Poi finalmente la grande gioia, liberatoria. Sul maxischermo la prima immagine di gioia è quella della videochiamata tra Einav Zangauker, la "mamma coraggio", diventata simbolo della battaglia per il ritorno degli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023, e suo figlio Matan. "Stai tornando a casa, la guerra è finita, ti amo", dice Einav al figlio. Applausi, urla, pianti liberatori. Un incubo è finito, finalmente. Poi è il turno delle altri immagini di gioia, come quelle dei fratelli Gali e Ziv Berman, rapiti insieme ma poi separati, che tornano ad abbracciarsi dopo due anni di terrore. I primi sette ad essere stati liberati insieme a Alon Ohel, Eitan Mor, Omri Miran e Guy Gilboa-Dala, arrivati alla base di Reim per un primo controllo medico prima di essere portati in ospedale. Stanno bene, per quanto possibile, non a caso i miliziani di Hamas, sempre attentissimi alla propaganda, li hanno liberati per primi mostrandoli pubblicamente nella zona del corridoio di Netzarim. "Abbiamo fatto ogni sforzo per proteggere i prigionieri dell'occupazione mentre il nemico commette i crimini più atroci contro i nostri", scrive Hamas in una nota. Poi, più tardi e in un altro luogo, nella zona di Khan Younis, è la volta degli altri 13 sopravvissuti all'incubo, quasi subito evacuati in elicottero verso gli ospedali alla periferia di Tel Aviv, Sheba, Beilinson e Ichilov. Perché le loro condizioni non erano così buone come quelle degli altri 7 e i controlli medici erano molto urgenti.

"Svegliarsi in un nuovo mattino, tutto sembra più bello, tutto sembra migliore, i colori nell'aria", ha detto Ilan Gilboa Dalal, il padre di Guy appena rilasciato. Famiglie e amici, hanno aspettato insieme l'ultimo miglio di una maratona del terrore prima che la gioia potesse invadere le case e i cuori di chi ha sofferto così tanto. In piazza a Tel Aviv si grida "liberi tutti, ora", si alzano cori per Trump e si leggono i nomi dei 20: Bar Kuperstein, Eviatar David, Yosef Haim Ohana, Segev Kalfon, Avitan Or, Elkana Buchbot, Maxim Harkin, Nimrod Cohen, Matan Tsengauker, David Cuneo, Eitan Horn, Matan Engerst, Eitan Mor, Gali Berman, Ziv Berman, Omri Miran, Alon Ohel, Guy Gilboa-Dalal, Rom Breslavsky e Ariel Cune. Per ognuno di loro, sul letto di ospedale, anche un biglietto personalizzato: "A nome di tutto il popolo di Israele, bentornato! Ti abbiamo aspettato, ti abbracciamo", firmato Sara e Benjamin Netanyahu.

Tra chi festeggia e gioisce, c'è chi aspetta di

poter piangere su un cadavere mai rientrato a casa. L'altra faccia di una giornata storica, difficile, lunga. L'ultima di settecentottantre giornate da incubo. Ma per quei 20 la prima di una nuova vita lontani dal terrore.

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