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Santanchè ha pagato. Ma l'accusa insiste per il fallimento

Saldati stipendi e Tfr dei dipendenti, però la Procura vuole il crac per le tre società

Santanchè ha pagato. Ma l'accusa insiste per il fallimento
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Un terremoto che potrebbe trascinare nel baratro anche «società sane». E dunque, a chi gioverebbe una eventuale liquidazione giudiziale di gruppo (il vecchio fallimento) per le tre società, un tempo gioiello del bio, che hanno avuto ai vertici fino al 2022 la ministra del Turismo Daniela Santanché? Se lo sono chiesti ieri i legali delle aziende, nell'udienza davanti al tribunale di Milano in cui si è discussa l'istanza, nuovamente ribadita dalla procura, per il trio Bioera, Ki group e Ki group holding. A differenza delle pm Laura Pedio e Maria Gravina, che hanno chiesto che il trio venga valutato dal tribunale come un soggetto unico (dalla coperta troppo corta), i legali sostengono che le posizioni delle singole aziende vadano assolutamente separate. Per i legali non c'è un gruppo, perché non c'è coordinamento tra loro, e non vi sarebbe alcuna «legittimazione attiva» ad agire nei confronti di un soggetto unico. Nell'udienza di ieri, gli avvocati hanno fatto riferimento agli accordi di «investimenti» che il fondo Geca ha già programmato con Bioera nell'estate del 2022. Milioni di euro che permetterebbero di risanare completamente la quotata consentendole di versare 800mila euro nelle casse di Ki-group, di acquisire i marchi di proprietà della società, fra cui la partecipazione detenuta in Verde Bio Srl - Italian Organic Bakery, e anche di acquisire un immobile di Perugia. Ciò nonostante, la procura insiste per il fallimento. Bioera, nell'opinione delle pm Laura Pedio e Maria Gravina, non «é un cavaliere bianco in grado di salvare gli altri e nemmeno se stessa», con un «patrimonio netto negativo di 5,2 milioni di euro». Per di più vi sarebbe una «irritualità nella domanda» che rende i salvataggi inammissibili. Da parte sua, intanto, Bioera sta provando a risolvere la controversia fuori dalle aule di giustizia. Come già comunicato dalla stessa società in una nota pubblicata sul suo sito, lo scorso 30 ottobre, la strada intrapresa è quella della composizione negoziata con le annesse misure protettive, capaci di congelare - se ratificate - la liquidazione giudiziale per almeno 120 giorni. Si tratta di una sorta di «ombrello» che impedisce ai creditori di aggredire la società che sta provando a intraprendere un piano di risanamento. Intanto lo scorso 1 novembre, alla vigilia dell'udienza, per cinque creditori della la Ki-Group è arrivato un saldo da 140mila euro: con un bonifico partito dallo studio dell'avvocato Salvatore Sanzo, che assiste l'azienda, sono stati saldati stipendi e tfr per cinque dipendenti. Se per loro l'avvocato Daniele Carbone ha revocato l'istanza di liquidazione, rimangono scoperti invece gli emolumenti per altri creditori: e cioè sei agenti di commercio, con partita iva, per un totale di circa 300mila euro.

«Non posso che augurarmi che le aziende si salvino, così anche gli agenti di commercio possono portare a casa quando dovuto», ha commentato Carbone. Qualora venisse accolto il concordato semplificato per Ki group sarebbero disponibili altri 250mila euro. La decisione del tribunale potrebbe arrivare la prossima settimana.

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