Ora che Agosto moglie mia non ti conosco è ormai finito, come Babbo Natale il 25 dicembre, come la campanella dell'intervallo sbuca la polemica settembrina sulla scuola. Alberto Asor Rosa, critico col colbacco, già deputato Pci, sulle pagine di Repubblica lancia un appello e ammonisce: bisogna aggiornare i programmi scolastici, e «portare la storia fino alla globalizzazione; consentire di leggere e approfondire, al pari di Cavalcanti e dei Promessi sposi, Primo Levi, Gadda, Pasolini, Calvino, de Céspedes e Ginzburg e perché no? Tabucchi e Del Giudice». Insomma, sintetizza il critico letterario, «si tratta di far entrare un secolo in più nei programmi». Probabilmente Asor Rosa è stato in ghiacciaia per mezzo secolo, dacché anche il più scemo dei liceali si deve sorbire Primo Levi e Pasolini e sa che i fatidici «programmi» arrivano ben oltre Tabucchi e Del Giudice. Nel Canone letterario di Hermann Grosser, canonico manuale edito dal Principato, ad esempio, sono antologizzati Aldo Nove e Pier Luigi Cappello, Stefano Benni e Guido Conti (e si parla pure di me che sono meno dell'unghia del mignolo di un Leopardi qualsiasi). Eppure, tutta la tribù di Repubblica a dar pacche sulle spalle al «dinosauro» Asor Rosa, da Eugenio Scalfari («Ha quindi piena ragione Asor Rosa: i giovani debbono estendere a tutto il '900 la loro cultura») a Guido Baldi, il quale suggerisce di fare un po' meno Petrarca per lasciar spazio all'ultimo Premio Strega, Paolo Cognetti, quando, al contrario, se ha ancora senso andare a scuola è perché c'è qualcuno che ci spiega che tra gli otto colli di Cognetti e l'Ascesa al Monte Ventoso di Petrarca c'è un abisso, altrimenti, teniamoci a casa i figli ed educhiamoli come pare a noi, è meglio.
Il problema, piuttosto, è che non si esce dalla dinamica della scuola come una «macchina», come un meccanismo sovietico, per cui basta togliere un bullone qui, arrotare la cinghia lì, basta sapere male un po' di tutto e quasi nulla di buono. Entro nel dettaglio: se essere aggiornati sul '900 Asor Rosa parla di «modernizzazione», un sostantivo dissepolto dall'era leninista significa leggere Tabucchi, Del Giudice o gli ultimi Premi Strega, beh, allora meglio tenere il muso nel Medioevo, mai secoli bui furono più illuminanti. Dico di più: se un prof impone ai suoi studenti la lettura di Tabucchi o di Cognetti (da quando la scuola fa promozione editoriale?) senza introdurli con foga selvaggia nei Fratelli Karamazov, senza avergli spappolato il cuore nell'acido alchemico delle Elegie duinesi, nei romanzi di Joseph Conrad, così pieni di colpa e di vento, senza portarli sul ciglio della follia maneggiando le poesie di Friedrich Hölderlin, quel prof va immediatamente radiato dall'ordine dell'umanità. Al contrario, i prof devono essere liberi di far leggere Cormac McCarthy, devono poter portare in aula Denis Johnson e Isaac B. Singer al posto dell'ennesima cosmicomica di Italo Calvino; devono poter sostituire un saggio di Iosif Brodskij al solito racconto di Cesare Pavese. Questo significa studiare il Novecento: liberarsi, finalmente, dalla museruola dei «programmi» scolastici, pensati per coltivare idioti, per preparare elettori fragorosamente stupidi, nell'era in cui Wikipedia elargisce più nozioni di un qualsiasi prof plurilaureato. Per salvare la scuola dal massacro dei politici e dalle cretinate degli intellettuali, nell'era in cui una boiata di Fedez è presa come un distico dissepolto di Eraclito, bastano due cose. Primo: creare nei licei delle micro case editrici. Ogni anno i prof, insieme alle loro classi, costruiscano un percorso di studi, lo approfondiscano. A fine anno, stampano il volume che riassume l'esito dei loro studi. Un esempio lampante per far capire agli studenti che la cultura è lavoro, che con la cultura cioè, con la testa si può lavorare per davvero, evitando il paradosso del super studioso di Michail Bulgakov (lo conosco) che per campare lavora alla reception di un albergo stagionale. Secondo: introdurre la figura dei «lettori» nelle scuole. A raccontare il presente, l'oggi, nelle scuole dell'obbligo devono essere scrittori e poeti viventi. Saranno gli studenti a decretare se costoro sono dei contafavole o degli autori autentici. A proposito. Agosto moglie mia non ti conosco è un romanzo di Achille Campanile, pubblicato nel 1930. Campanile è uno stregone del linguaggio altro che l'ultimo Strega che ha valicato il '900 con ghignante ironia. Se ne è andato quarant'anni fa. La sua ironia dava noie a Togliatti. Amava il Manzoni e Giuseppe Gioachino Belli.
«Non leggo libri di contemporanei: mi sembra che non ci siano umoristi, perché, se qualcuno prova a fare l'umorista, in Italia diventa subito un moralista». Chapeau. Leggete lui, va là, è un ottimo antidoto alle chiacchiere estive dei benpensanti della scuola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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