
Termini come liberalismo e conservatorismo, si sa, vengono usati soprattutto nella pubblicistica ma anche da molti studiosi con leggerezza. Questo è giustificato da motivi ideologici, perlopiù: ridicolizzare e fuorviare il significato di un concetto per svuotarne il contenuto e manipolarlo secondo scopi propagandistici. Tutto legittimo, per carità. In tal modo, però, "liberalismo" è pressoché inservibile ormai: viene di solito sostituito da liberismo selvaggio, iperliberismo e altre amenità. "Conservatorismo" viene associato, invece, a fascismo, reazione, estrema destra. È chiaro, però, che così facendo rimane poco o nulla del significato autentico e complesso delle parole, con tutte le conseguenze del caso. Anziché chiarirla, la parola offusca la realtà, con buona pace per quei fini assai teoricamente illuministici che si vogliono proporre alla discussione pubblica. I problemi, tuttavia, non si fermano qui. Vanno infatti considerati i mutamenti occorsi in chiave spazio-temporale. I contesti sono importanti: un conservatore in Italia nel Ventunesimo secolo non può essere equiparato a un conservative americano del Novecento o a un conservatore inglese di fine Ottocento, per dire. In aggiunta a ciò si sommano ulteriori difficoltà.
Fuoriuscendo dal campanilismo tipicamente italiano, se guardiamo allo sfaccettato panorama intellettuale americano novecentesco, il termine conservatorismo ha significato molte cose con la parola conservatism, si comprendeva infatti una galassia di pensatori, sia conservatori sia liberali classici sia, in certa misura, libertari. Tutt'altro che un movimento coeso e compatto, come molti sostengono, il conservatorismo era estremamente pluralista al suo interno. Pur non potendo dare conto della sua estrema varietà, è chiaro che esso, anche se con sfumature diverse, si è caratterizzato per una certa resistenza nei confronti dell'intervento statale: tutt'altro che meramente economico, l'interferenza governativa nuoce infatti gravemente all'intera esistenza umana. Un conservatore americano del Novecento, dunque, vedeva nel socialismo e nella socialdemocrazia grossomodo l'equivalente di ciò che gli americani intendono per liberalism il vero avversario. Oggi, tutto sommato, non sembra più così. Per qualcuno può essere un bene, per altri un male: lo giudichi il lettore. Il punto, però, è che quelli che ora si fanno chiamare new conservatives poco o nulla hanno in comune con le posizioni del movimento precedente. Protezionisti e interventisti, i new conservatives insistono sul fatto che non è più lo Stato a essere il problema (si veda sul punto il recente volume The New Conservatives, curato da Oren Cass). Al contrario, sono il libero commercio, la globalizzazione, la ricchezza a esserlo.
Legittimo, certo; discutibile, pure. Ci sono già tanti socialisti e socialdemocratici in giro: se si mettono pure i conservatori a prendere spunto da loro, ha scritto Richard M. Reinsch II su Law and Liberty, siamo a posto.