
L'episodio più surreale arriva dopo l'avviso di garanzia al Cavaliere e la caduta del primo governo Berlusconi. Oscar Luigi Scalfaro ha un piano: sostituire in corsa il fondatore del centrodestra e tirare avanti. Enrico La Loggia, capogruppo al Senato di Forza Italia, è in prima fila e assiste a incontri riservati, condivide retroscena che sfuggono ai giornalisti, naviga fra amici che si travestono da nemici. Oggi La Loggia, fra le altre cose ministro per gli Affari regionali nel quinquennio 2001-2006, rivela molti aneddoti inediti in un libro che sembra un romanzo, Come è andata davvero, in uscita il 4 luglio per Rubbettino.
In quelle pagine c'è il vaffa di Prodi, c'è tutta l'ambizione di Gianfranco Fini, che lavora per indebolire Berlusconi, e poi c'è l'astuzia del Presidente della repubblica. Ma le righe che riguardano Lamberto Dini sono un piccolo trattato sulle debolezze dell'uomo, accecato dalla propria vanità. "Dini - scrive La Loggia - fu convocato al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il nuovo Governo". A Palazzo Chigi sono in quattro: "Berlusconi, Letta, Dini ed io".
Berlusconi fa al suo successore un discorsetto di questo tenore: "Caro Lamberto, adesso tocca a te, ti considero come se tu fossi la prosecuzione della mia Presidenza del consiglio, quindi vai a prendere l'incarico, poi torni qui, componiamo insieme la lista dei ministri e dopo tornerai da Scalfaro per accettare l'incarico".
È tutto chiaro. Anche la risposta di Dini: "Presidente, vado e torno da lei. Ha la mia parola d'onore. Il tempo di ricevere l'incarico e sarò qui da lei. Ci sediamo e parliamo di tutto, sono a sua completa disposizione".
Il problema è che Dini sparisce: "Dini non tornò più dal presidente Berlusconi. Non si fece più trovare al telefono. Tagliò i ponti e ci trovammo a dover decidere se sostenere o meno il suo governo, stante che da un canto non volevamo lasciarlo nelle mani della sinistra, ma dall'altro avremmo voluto dire la nostra nella lista dei ministri e soprattutto nell'indirizzo da dare al programma".
La plateale sbandata di Dini chiarisce di cosa sia fatta la politica, all'incrocio fra le esigenze istituzionali e i sentimenti personali. Dini, il cui esecutivo resiste quasi un anno e mezzo dal 17 gennaio 1995 al 17 maggio 1996, è l'esecutore di un disegno che ha in Scalfaro il regista. "Io - spiega La Loggia - avevo sostenuto che la scelta più coerente con il nuovo sistema elettorale, il mattarellum, era quella di andare a nuove elezioni".
Scalfaro non ci sente e filosofeggia: la Costituzione formale non è cambiata e lui ne è garante.
"Un giorno poi Scalfaro mi convocò al Quirinale, mi ricordò i rapporti di stima che lo legavano a mio padre". Giuseppe La Loggia, presidente della Regione Sicilia negli anni Cinquanta.
Scalfaro è un grande seduttore e prova ad aprire una crepa nella personalità di La Loggia junior: "E per questo non si spiegava il perché della mia ostilità nei suoi confronti. Evidentemente non sapeva o fingeva di non sapere che mio padre non lo stimava affatto".
Trent'anni dopo, La Loggia non risparmia nessuno. Riservando una frecciata anche a Romano Prodi. È il 1997: "Nella finanziaria in discussione sosteneva esattamente la tesi opposta" a quella sponsorizzata nell'anno precedente, quando "si era dichiarato a favore di ulteriori incentivi per il praticantato, per gli apprendisti e precari".
La Loggia smaschera la capriola e gli legge la dichiarazione che fa a pugni con quella appena formulata. Poi aggiunge: "Sa chi l'ha fatta? L'ha fatta lei in questa aula.
Prodi si mostrò visibilmente indispettito e mi mandò a quel paese. Anzi, per l'esattezza dal labiale si comprese subito che mi aveva mandato aff..".Parole cartavetrate che oggi vengono consegnate alla storia del Palazzo