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Tre settimane di digiuno per vedere sua figlia. Detenuta morta a Torino

Sciopero della fame "ufficioso" ma in carcere tutti sapevano. Il garante: "Andava salvata"

Tre settimane di digiuno per vedere sua figlia. Detenuta morta a Torino

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«Voglio vedere mia figlia». Non mangiava e beveva dal 22 luglio Susan J., una detenuta nigeriana di 43 anni. E un digiuno di tre settimane, nel corso del quale la donna aveva rifiutato anche i farmaci, si è lasciata morire, in silenzio. Soprattutto senza che nessuno, oltre ai responsabili del carcere Le Vallette di Torino, fosse a conoscenza dello sciopero della fame cominciato dopo il suo trasferimento da un'altra città. Condizione che l'ha allontanata dalla sua bambina. La notizia della protesta non è mai uscita dal carcere e la donna, rinchiusa in una delle quattro camere del reparto psichiatrico del Lorusso-Cotugno, è deceduta per arresto cardiocircolatorio.

Susan è la terza vittima dopo i due ergastolani, un russo e un italiano, morti a maggio nel carcere di Augusta rispettivamente al 41° e al 60° giorno di sciopero della fame. E ieri pomeriggio, sempre a Le Vallette, un'italiana di 28 anni si è impiccata. «La mia assistita andava curata e ricoverata, anche con un Tso - spiega l'avvocato Wilmer Perga -. Non stava facendo una battaglia politica, semplicemente non mangiava né beveva, quindi andava considerata una malata da curare. Cospito, a un certo punto del suo sciopero, viene ricoverato». Susan aveva anche chiesto, inutilmente, di scontare la pena residua in Niger. «A nulla sono servite le sollecitazioni ad alimentarsi», spiega il sindacato di polizia penitenziaria Sappe.

La donna, morta alle 3 di venerdì, avrebbe dovuto scontare ancora sette di dieci anni, fine pena ottobre 2030, per tratta di esseri umani e fin dal suo arrivo nel capoluogo piemontese avrebbe dato segni di squilibrio, tanto da essere isolata. Uno sciopero della fame non dichiarato di cui erano a conoscenza, però, medici e operatori penitenziari. La donna avrebbe anche rifiutato l'intervento del 118, chiamato quando le sue condizioni si aggravano. Diceva solo: «Fatemi vedere mia figlia». La pm Delia Boschetto della Procura torinese ha aperto un fascicolo, al momento senza ipotesi di reato e indagati, e disposto l'autopsia. «La detenuta nigeriana morta in carcere - spiega Bruno Mellano, garante per i detenuti del Piemonte - aveva rifiutato anche terapie con integratori. Né il garante nazionale né quello di Torino né io avevamo intercettato questa vicenda. Il 4 agosto ero lì, ho parlato con la direzione, gli operatori dell'Istituto e le detenute che sono le nostre sentinelle. Nessuno ci ha segnalato il caso, è angosciante. La donna non aveva dichiarato lo sciopero della fame, come si fa per avanzare delle richieste, passaggio che fa scattare i controlli e il monitoraggio dei parametri vitali». Una situazione critica che col passare dei giorni diventa drammatica. «Sono rammaricata - commenta Monica Cristina Gallo, garante per i diritti dei detenuti di Torino -. Dalla direzione mi è stato detto che non erano conoscenza della situazione. Anch'io non ne sapevo nulla. Dal carcere non ci sono giunte segnalazioni su questa persona. Era un'invisibile. Avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa. Le informazioni, in chiave preventiva, andrebbero scambiate. Si tratta di salvare delle vite».

Interviene la senatrice Ilaria Cucchi: «Questa tragedia non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato, che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c'entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo sia fatta chiarezza anche per questo». Secondo l'associazione Antigone, 85 persone si sono tolte la vita nei penitenziari italiani solo nel 2022. Cinquanta nei primi sei mesi di detenzione, 21 nei primi tre mesi, 16 nei primi dieci giorni e 10 entro le prime 24 ore dall'arrivo in cella.

E in solidarietà le detenute de Le Vallette annunciano uno sciopero della fame «a staffetta» dal 24 agosto al 25 settembre.

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