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Per la Ue chi ha dubbi sul clima è come un agente di Putin

Il rapporto dell'Europarlamento sulla disinformazione punisce il "negazionismo" sul riscaldamento antropico

Per la Ue chi ha dubbi sul clima è come un agente di Putin

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Quello del riscaldamento globale di origine antropica, ormai, non è soltanto divenuto un dogma intoccabile, ma perfino un «intercalare concettuale»: buono in ogni circostanza.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che nel rapporto del Parlamento europeo, approvato il primo giugno, volto a denunciare le intromissioni di Vladimir Putin nella politica europea (intitolato «Interferenze straniere in tutti i processi democratici nell'Unione europea, con inclusa la disinformazione») si sottolinei che «l'aumento del negazionismo sui cambiamenti climatici può essere collegato a una più ampia diffusione delle teorie cospirative nel discorso pubblico, che si basa sulla creazione deliberata di una contro-realtà e sul rifiuto della scienza».

A prima vista, può sembrare una confusione dettata da approssimazione. In effetti, il rapporto dovrebbe smascherare le iniziative di Mosca e di tutte le altre realtà interessate a controllare la politica in Europa: basti pensare agli investimenti di George Soros o a molti altri istituti vicini alla sinistra statunitense. Che c'entrano, però, con tutto ciò scienziati come Franco Prodi o Antonino Zichichi? Che ne si condividano o meno le idee, qualcuno può davvero pensare che esprimano le loro tesi e da tanti anni perché istigati da Putin e magari a suo libro paga?

Quel rapporto, però, non è un semplice ammasso di stupidaggini. Il fatto che tale documento tiri in ballo il «climate change denialism» ossia: il negazionismo in tema di cambiamento climatico mostra come c'è chi lavora alla costruzione di un sistema politico ideologicamente chiuso: retto da assunti che nessuno può mettere in discussione.

Come ha bene spiegato Michael Enseld (che insegna filosofia della scienza a Losanna), il totalitarismo soft del nostro tempo non ha un centro decisionale: come era al tempo di Lenin o Hitler. Esso non ha neppure un'unica ideologia di riferimento, ma vive grazie a una rete di soggetti interconnessi che operano in politica, nell'economia, nella cultura e nei media, e si costituisce attorno a questioni che possono di volta in volta essere liberamente ridefinite: così in una fase può essere cruciale la teoria del gender e in un'altra il riscaldamento globale, oppure la lotta alle diseguaglianze etniche o qualcos'altro ancora. La struttura intollerante rimane la medesima, anche se di volta in volta si decide chi viene collocato nel ruolo del malvagio e del criminale.

D'altra parte, il progressismo ha individuato verità che reputa incontrovertibili: un qualcosa a cui la vera scienza, sempre consapevole dei propri limiti (in quanto ricerca incessante, che procede da errore a errore), non ha mai ambito. E queste certezze assolute abbracciate dai cantori del politicamente corretto sono la premessa per una polizia del pensiero che supera perfino l'immaginazione di George Orwell.

Come leggiamo in Shakespeare, «c'è della logica in quella follia».

Interessante notare che il nome del personaggio che pronuncia quelle parole è Polonio. Non sarà che perfino lo scrittore inglese era al servizio di Putin?

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