Yara, processo-show con telecamere

Bossetti nega di essere l'assassino e punta sulla difesa mediatica: "Che tutti vedano, niente da nascondere"

Yara, processo-show con telecamere

La chiave potrebbe essere in un dialogo captato da una microspia in carcere. Ad un detenuto che gli suggeriva di alzare bandiera bianca, perché in quel caso avrebbe avuto uno sconto sulla pena, Massimo Bossetti risponde: «Rischio l'ergastolo ma non confesso per la mia famiglia». Una frase che naturalmente la difesa ha provato a disinnescare. Ma che resta sullo sfondo, come una chiave di violino per interpretare il processo che si apre oggi a Bergamo, in un palazzo di giustizia naturalmente blindato. Il muratore di Mapello, l'uomo che tutti gli italiani hanno imparato a riconoscere dal 16 giugno dell'anno scorso, quando fu arrestato e pure quel momento drammatico è stato filmato ed è finito in tv, ha deciso di trasformare in un'arena l'aula in cui si deciderà il suo destino.

Bossetti si proclama innocente, non chiede una riduzione della pena, non gioca di sponda con il rito abbreviato, quello che prevede il dibattimento a porte chiuse davanti a un giudice e risparmia all'imputato le telecamere, i sei giurati popolari, le udienze che fanno titolo nei tg della sera. No, Bossetti vuole i riflettori, vuole i giornalisti, punta evidentemente a dividere l'opinione pubblica e, se possibile, a spaccare anche il collegio che dovrà stabilire se assolverlo o condannarlo. «Voglio lottare - queste le parole dell'imputato - perché questo processo si svolga esclusivamente a porte aperte, così che chiunque possa prendere atto di tutte le dichiarazioni fatte da me e dall'accusa, perché non ho niente da temere o da nascondere. Questo è il mio grandissimo, solo e unico desiderio». La moglie Marita Comi sarà al suo fianco, davanti ai riflettori. E conversando con un settimanale la signora è stata molto netta: «Se dovessero condannarlo penserei ad un errore giudiziario».

Insomma, se è teatro e finzione, è una partita che i coniugi vogliono giocare fino in fondo. Con grande padronanza di nervi e molta pazienza. Perché la posta è altissima e il rischio, obiettivamente molto alto, è che Bossetti sprofondi nel pozzo del carcere a vita. Un atteggiamento diverso, in teoria ancora possibile, potrebbe fargli percorrere una strada ugualmente tortuosa ma condurlo poi ad una pena meno severa. Certo Yara secondo il codice fu uccisa, quel 26 novembre 2010, ma in realtà morì dopo una penosa agonia per un cocktail di circostanze avverse: il freddo, la paura, le ferite per i colpi subiti. Bossetti, se è lui il killer, l'abbandonò nel campo di Chignolo d'Isola, non fu capace di gestire la situazione, non aveva, sostengono i carabinieri del Ros che hanno raccolto contro di lui una montagna di indizi, la statura del serial killer. Era un padre di famiglia, un operaio disciplinato, un signore come tanti col pizzetto curato e la vanità di chi frequenta regolarmente il solarium per una lampada abbronzante, ma dentro di sé coltivava un'altra natura. Perversa, torbida e però incompiuta, secondo il profilo tracciato dagli investigatori.

Tutto questo ragionamento aprirebbe scenari interessanti per la difesa, ma è chiaro che Bossetti dovrebbe passare per le gole strette e buie della confessione, o di qualcosa che le assomigli, dell'umiliazione, della pubblica riprovazione. A quanto pare, si andrà in direzione opposta. Una lista interminabile e sfibrante di testi, la contestazione corpo a corpo di tutte le prove, il tentativo, secondo l' Eco di Bergamo , di collegare la morte della ginnasta tredicenne ad altri due fattacci di cronaca nera. Delitti su cui era sceso rapidamente l'oblio e che invece l'avvocato Claudio Salvagni proverebbe ad allineare alla morte di Yara.

Tutto può essere. I processi italiani sono spesso un rebus indecifrabile ed è temerario azzardare previsioni. Bossetti non pare però godere di grandi correnti di simpatia nel pubblico virtuale che da oggi seguirà i passaggi di questa vicenda. Annamaria Franzoni, per fare un paragone, appariva come la mamma disperata dalla lacrima facile. Impietosiva gli uni, veniva vista come una sorta di strega dagli altri. Però la sua immagine controversa faceva discutere. Qua, pur con tute le difficoltà di un'indagine lunghissima che a un certo punto si era trasformata in un groviglio ingovernabile, c'è un macigno che pesa sulla bilancia.

Il Dna di Ignoto 1, ovvero Bossetti, afferrato dopo migliaia di tentativi. E con un margine di errore così infinitesimale che non si riesce a descriverlo se non ricorrendo ad un'astrazione matematica. Sarà dura per Bossetti combattere contro gli alambicchi e le provette.

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