Quelle sentenze a furor di vendetta che versarono "L'ultimo sangue"

Alfredo Villano ricostruisce la vicenda delle corti straordinarie tra 1945 e 1947

Quelle sentenze a furor di vendetta che versarono "L'ultimo sangue"

Il triangolo della morte di Giorgio e Paolo Pisanò viene pubblicato nel 1992. Si tratta di una ricostruzione del sangue versato in Emilia- Romagna a guerra finita. Molti, troppi conti sono stati regolati dai partigiani vittoriosi a danno dei fascisti sconfitti. Spesso in maniera brutale quanto insensata. Al lavoro di Pisanò si devono tre volumi, usciti tra 1965 e il 1966, dal titolo provocatorio: Storia della guerra civile in Italia 1943-1945.

La definizione di "guerra civile" è osteggiata dalla cultura resistenziale. Se guerra c'è stata, si deve parlare di guerra di Liberazione. Il granitico fronte dominante nella pubblicistica e nella storiografia lo rompe nel 1991 Claudio Pavone con Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza. Pavone è uno storico di sinistra. Difficile accusarlo di essere un propagandista neofascista come Pisanò. In alcune presentazioni Pavone chiama al suo fianco il giornalista Giampaolo Pansa. Quest'ultimo, sin dalla tesi di laurea, si è occupato della materia. Ed è stupito dalle contestazioni ricevute nel corso di alcuni incontri. Più volte lo hanno rimproverato: non bisogna parlare di "guerra civile" ma di Resistenza e Liberazione. La "guerra civile" richiama lo spargimento di sangue fraterno. Odi profondi. Lacerazioni irreparabili. Resistenti al trascorrere del tempo. E talvolta, crimini che con la "lotta di liberazione" hanno poco a che spartire.

Prendiamone uno: l'uccisione di Osvaldo Valenti e sua moglie Luisa Ferida, le uniche due stelle del cinema fascista che hanno deciso di aderire alla Repubblica di Salò. I due, dopo essere stati fatti prigionieri, vengono fucilati, il 30 aprile 1945 a Milano, dai partigiani della Divisione Pasubio. L'attore, tenente della X Mas, era accusato di aver partecipato a torture inflitte ai prigionieri dalla famigerata "banda Koch" a Milano, e la moglie di averlo assistito. L'attrice non ebbe nessuna responsabilità, e assai dubbie sono anche quelle di Valenti. Con grande probabilità, più che per i crimini commessi, i due vennero uccisi per la loro notorietà, per essersi trasferiti a Salò, per alcuni atteggiamenti sfrontati di Valenti e per gli ingenti averi in loro possesso. Anche se alle vittime furono sottratti beni materiali, la ragione della loro morte va collocata nel clima di odio, sangue e vendette scatenatosi con la fine del fascismo.

Quanto al processo per "crimini di guerra" che condannò a morte i due attori è meglio sorvolare. È uno dei tanti processi sommari dell'epoca. In fondo, la "guerra civile" (qualsiasi "guerra civile") ha i suoi prezzi da pagare. E chi la studia non deve lasciarsi condizionare da questioni "morali". Giampaolo Pansa questo concetto l'ebbe ben chiaro quando nel 2003 decise di scaricare un vero e proprio macigno all'indirizzo di quelli che, successivamente, avrebbe definito "gendarmi della memoria": Il sangue dei vinti. Le polemiche furono durissime. Pansa venne vilipeso e ridicolizzato. L'apprezzato giornalista progressista si era trasformato in un rinnegato dalla coscienza sporca, interessato solo a vendere libri. E la "trilogia" sulla "guerra civile" (al Sangue dei vinti seguirono La grande bugia nel 2006 e I gendarmi della memoria nel 2007) di copie ne vendette una montagna, a dispetto dei detrattori, sempre più avvelenati. Rileggendo i tre corposi volumi, a vent'anni di distanza, si ha l'impressione che sono la migliore contestualizzazione e sistemazione narrativa di quanto Pisanò ed altri avevano già ricostruito. Mancava solo un credibile (appartenente alla sinistra) divulgatore. La "cortina di ferro" che ha ingabbiato per decenni la "guerra civile" italiana ormai è divelta.

Lo studio di Tommaso Piffer Sangue sulla Resistenza. Storia dell'eccidio di Porzûs, pubblicato quest'anno da Mondadori, ne è la cristallina dimostrazione. La "guerra civile" entrò anche nella sfera dei partigiani, condotta dai comunisti impegnati a screditare e uccidere come era già avvenuto durante la "guerra civile" spagnola appartenenti alla Resistenza che manifestavano idee anticomuniste.

A questa innovativa tendenza della storiografia si aggiunge la bella ricostruzione di Alfredo Villano, basata su una rigorosa ricerca d'archivio: L'ultimo sangue. I fascisti condannati dalle Corti straordinarie d'assise 1945-1947 (Eclettica, pagine 458, euro 25). Non tutti i condannati a morte, come Valenti e Ferida, ebbero un processo sommario. Numerosi appartenenti alla Repubblica di Salò vennero giudicati e condannati dalle Corti straordinarie d'assise. I processi erano regolati da una "legge eccezionale", promulgata dal governo guidato da Ferruccio Parri, con Palmiro Togliatti ministro di Grazia e giustizia. E furono celebrati nei tribunali, nel rispetto dei diritti dell'imputato, per quanto fosse possibile considerando il clima surriscaldato dell'epoca, che spesso indirizzò le condanne.

La ricerca di Villano si inserisce nello spinoso tema dell'"epurazione". Poteva essere più efficace ed andare in profondità? Difficile nel 1945 portare alla sbarra quanti avevano ottenuto vantaggi con ogni mezzo durante il fascismo. Più semplice giudicare i "collaborazionisti" di Salò. In L'ultimo sangue viene posizionata la lente di ingrandimento su un aspetto della complessa materia: i condannati a morte. In totale vennero istruiti 30mila processi, 650 condanne capitali comminate, di cui 87 eseguite. Le aspettative di Togliatti erano improntate alla celerità e imparzialità dei processi. Sua era l'ultima parola se concedere o meno la grazia ai condonanti alla pena capitale. Talvolta la concesse, talvolta no.

A determinare molti rifiuti concorsero le condizioni di ordine pubblico. Se le varie autorità riferivano che il provvedimento di grazia avrebbe suscitato contrarietà, optava per la fucilazione. Esemplare è il rifiuto della grazia nei confronti di Biagio Sallusti (nonno del nostro direttore Alessandro), comandante del distretto militare di Como. Era stato condannato a morte per aver presieduto il tribunale responsabile della fucilazione, nel dicembre del 1943, di un popolare partigiano, Giancarlo Peucher Passavalli. La domanda di grazia per Sallusti aveva il parere favorevole del procuratore generale di Milano, del prefetto di Como, dell'autorevole cardinale Ildefonso Schuster e della Commissione alleata. I fratelli di Peucher lo avevano perdonato e anche Parri non si opponeva alla commutazione della pena. Il Cln locale, la polizia e i carabinieri di Como manifestarono invece la loro contrarietà. Il provvedimento di clemenza avrebbe avuto una sfavorevole accoglienza nei partiti di sinistra e nella popolazione. Sallusti venne giustiziato l'8 febbraio 1946.

Le richieste di clemenza non arrivavano solo al ministro competente, ma anche al Re e agli Alleati. Il Vaticano si muoveva nella discrezione, essendo il pontefice Pio XII assai turbato dalle pene capitali inflitte. Pochi furono gli "irriducibili" a non inoltrare la domanda la grazia. Svariati condannati chiesero l'arruolamento per combattere il Giappone. Il governo Parri aveva dichiarato guerra al vecchio alleato dell'Asse. Togliatti si rivelò "guardasigilli" accorto e misurato, abile nel servirsi di personaggi di comprovato valore professionale ma compromessi con il passato come Gaetano Azzariti, suo predecessore nel governo Badoglio (Azzariti era stato presidente del Tribunale della razza e diverrà nel 1957 presidente della Corte costituzionale!). Il capolavoro di Togliatti fu l'amnistia, promulgata il 26 giugno 1946. Metteva una pietra tombale, praticamente, su ogni tipo di crimine. Si chiudeva così, nell'atto estremo di clemenza, la possibilità di condannare crimini commessi nel corso della "guerra civile", da parte fascista o antifascista.

Per concludere, quella minuziosamente ricostruita da Villano è una pagina importante del passaggio dal fascismo alla Repubblica.

Al di là delle valutazioni morali che se ne possono dedurre, il ricorso al buon senso contribuì a non esasperare una situazione già esasperata. Del "sangue dei vinti" se n'era già sparso a sufficienza.

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