
Ci sono libri che raccontano un'epoca e libri che la riaprono. Il caso Renan (Il Mulino, pagg. 384, euro 34) di Roberto Pertici appartiene alla seconda categoria. È un saggio storico, ma si legge come una sciarada di passioni, di paure e di idee che bruciano ancora sotto la cenere. Racconta la prima guerra culturale dell'Italia unita: uno scontro tra fede e ragione, tra il mondo cattolico e quello laico, tra l'eredità di Roma e la modernità che avanza.
Nel 1863 Ernest Renan pubblica La Vie de Jésus. Non è un manifesto ateo, ma un gesto di libertà. Renan non vuole distruggere il cristianesimo, vuole riportarlo alla sua umanità, togliere il divino dal miracolo per cercarlo nella storia. Gesù diventa un uomo, sublime e fragile, e proprio per questo universale. Ma per la Chiesa di Pio IX quell'uomo è un pericolo: l'inizio della fine, la voce che può spezzare l'unità del dogma. "Nessuno mai - scrive - è stato meno prete di Gesù, o più ostile alle forme, che mentre sembrano proteggere la religione, la soffocano". Così nasce una crociata di tridui di preghiere, prediche, pamphlet, processioni e anatemi. Una mobilitazione di massa, la prima del mondo cattolico post-unitario. L'Italia liberale risponde con i suoi strumenti: traduzioni, giornali, dibattiti pubblici, edizioni popolari. È una guerra di parole, di simboli e di idee. Pertici la ricostruisce come un romanzo documentato, pieno di personaggi che sembrano usciti da un teatro dell'Ottocento: preti combattenti, giornalisti garibaldini, editori avventurosi, donne che recensiscono Renan su riviste maschili. Dietro le trame resta però la sua vera ossessione: capire come nasce la secolarizzazione italiana, dove si separano le strade della Chiesa e dello Stato, quando la fede smette di essere un destino e diventa una scelta.
Renan è lo specchio di quella frattura: lo studioso che voleva spiegare il mistero senza cancellarlo, lo scettico che continuava a cercare Dio nei miti. Per Pertici è un compagno di viaggio, un modello di intelligenza ironica e inquieta. "Sento che la mia vita è sempre più governata da una fede che non ho più. La fede ha questo di particolare che, anche quando è scomparsa, agisce ancora".
Il suo libro è un gesto di gratitudine verso un uomo che aveva osato pensare la religione come storia e la storia come fede nel futuro. La vera modernità, sembra dirci, non è distruggere il sacro, ma imparare a leggerlo.