Sandra Milo, Federico Fellini, il marxismo e la pagnotta

Sandra Milo, Caro Federico (Fellini, ndr), romanzo Rizzoli 1982, 154 pagine, lire 9000.
Pagina 11: «I grandi pini con un principio di malattia ancora sconosciuta allargavano l’ombra delle fronde sull’asfalto sconnesso del viale Nettuno di Fregene. Il sole d’agosto, arrogante come un dio, piazzava i suoi raggi guerrieri tra ramo e ramo, giocando sulla strada una partita a scacchi. Luce e tenebre. Il principio e la fine».
Pagina 145: «“Federico, la rivoluzione marxista ha distrutto vecchi miti portando grandi cambiamenti nella società, ma poi non ha saputo evolversi. Tu puoi fare qualcosa, tu devi farla. Racconta la società com’è, trova la strada per far capire che l’uomo esiste. Che l’uomo è bene. Tu con la tua arte puoi fare molto. Devi impegnarti: chi più ha, più deve dare”. “Selena, hai le stesse pretese di Camilla Cederna”».
Pagina 148: «Federico stava preparando un altro film, La città delle donne. \ Sul tavolo due fette di pane secco. “Oh sei qui. Mi hanno detto di averti vista. Perché stai al buio e in cucina? Come stai? Io sono un po’ stanco. È terribile cercare di capire qualcosa che non si vuole veramente capire”. “Penso di sì”. “Ascolto, parlo.

I collettivi, le rivendicazioni femminili, orgasmi, vagine, pillole, aborti: sono cose che mi rendono la donna estranea. Una rivoltosa. Posso solo immaginarla come un astemio può immaginarsi un ubriaco. Senza partecipazione. È duro il pane?”».

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