Atteso per anni da chi segue il cortese, fermo, insostituibile magistero di Silvia Bortoli sulla sua pagina Facebook, Come il cane è arrivato tra noi ed è rimasto (Quodlibet, 142 pagg., 14 euro) segna il ritorno alla scrittura di una delle nostre maggiori letterate e traduttrici dal tedesco; nonché punto di riferimento e coscienza vigile per ogni critico letterario, nel caso lo colga la tentazione di flettere da quel rigore che gli è richiesto. Si tratta della cronaca di una stagione complicata raccontata attraverso lo svincolo del piccolo Jack, un cucciolo di jack russell pronto al gioco più surreale e indocile come i cani della sua razza sanno essere, ma anche, all'occasione, più pigro di un sultano appena rientrato da una faticosa campagna militare. Nell'appartamento milanese della padrona (Bortoli biasima la leziosità delle donne che si considerano mamme dei loro cani) è presente anche il Principe, il marito malato; raramente fanno capolino la figlia, Adorabile Mammina, e il nipotino Faber, che ricorda alcuni giovanissimi personaggi del cinema inglese degli anni Sessanta.
Un cane deve essere portato a spasso due volte al giorno: in questo caso in un parco dove gli incontri sia con i quadrupedi, sia con i bipedi implumi permettono ogni genere di esperienza: c'è la maleducata che non raccoglie gli escrementi e il gentleman sposato con un'ex modella; c'è Olga, cane pastore di Sant'Uberto che travolge ogni ostacolo con la sua mole; e Flower, il barboncino con le zampe infangate che lascia la firma sui pantaloni bianchi senza che la sua mamma si degni di una scusa. Incontri significativi, come del resto sono irresistibili le imprese di Jack: la sua fobia per le biciclette e la lotta all'ultimo sangue con la ciotola, dalla quale uscirà trionfante. Tutto bene, allora?
In realtà, Come il cane è arrivato tra noi ed è rimasto è il diario di un anno difficile, difficilissimo mascherato, per pudore, da viaggio attorno alla mia camera, o al limite attorno al mio quartiere. Le apparizioni di alcune badanti e dog sitter; gli incontri con il neurologo che cura il Principe; gli incontri, nello stile degli alcolisti anonimi, con un gruppo di supporto per parenti di malati di Alzheimer non lasciano dubbi: si tratta di estranei, al pari dei padroni di cani incontrati al parco. Il declino irreversibile del Principe rende impossibile avere una vita sociale. Aboliti gli inviti a cena anche quelli ricevuti i viaggi, la consueta attività professionale.
Jack, allora, è il cangiante specchio allegorico che ricopre molte funzioni: con la sua festosità sincera, la sua energia allegramente dissipata, le piccole malattie da ridere che talvolta lo affliggono, gli amori e odi teatrali che lo caratterizzano è il corrispettivo clownesco e diminutivo della vita normale. Un ricordo, ma anche un segnaposto dell'esistenza non emergenziale, che si spera (e si teme), torni prima o poi a regnare.